La Stampa 12.9.16
A caccia di papiri negli archivi del Museo Egizio
Il progetto “Hera” esplorerà i 30mila frammenti sepolti a Torino con l’aiuto di studiosi connessi on line da tutto il mondo
di Maurizio Assalto
Per
scandagliare l’antico Egitto non è indispensabile battere le sabbie -
peraltro di questi tempi insidiose - lungo il Nilo. È possibile scavare
anche a Torino, negli archivi del Museo Egizio, dove giace da due secoli
un patrimonio di papiri quasi inesplorato che potrebbe fornire più
informazioni di una nuova scoperta nella Valle dei Re. È su questi
presupposti che Christian Greco, il dinamico direttore della seconda più
importante collezione egittologica al mondo, inaugura la sua campagna
d’autunno, dopo la rivoluzione che nella primavera del 2015 ha
trasformato il cupo museo ottocentesco, meta predestinata di chiassose
scolaresche, in una avveniristica attrazione culturale di livello
internazionale, presa d’assedio da un milione di visitatori nel primo
anno dopo l’inaugurazione. E che ora si propone come un modello nella
valorizzazione del proprio patrimonio.
Le prossime mostre
Gli
uffici di via Accademia delle Scienze sono un fervore di progetti. Si
lavora alacremente per la mostra tematica che sarà inaugurata il 4
marzo, titolo provvisorio Dalle sabbie a Torino, dedicata a ricostruire
l’attività di ricerca del museo a cavallo della I Guerra Mondiale,
quando era direttore il leggendario Ernesto Schiaparelli. Ma già prima,
il 17 novembre, aprirà a Leiden, in Olanda, la mostra su Nefertari, la
Grande Sposa reale di Ramesse II, organizzata dall’Egizio in
collaborazione con il locale Museo di Antichità della cui collezione
egizia, quinta al mondo, Greco è stato curatore fino al 2014. Da Torino
partiranno 246 reperti, tra cui il coperchio di granito del sarcofago di
Nefertari, una statua di Tuthmosi I, il «Papiro della congiura» contro
Ramesse III.
Dopo Leiden, dal giugno 2017, la mostra andrà
all’Ermitage di San Pietroburgo, e in seguito farà quattro tappe in
Cina. Per il Museo Egizio i benefici sono evidenti. C’è il ritorno
economico - l’affitto corrisposto dagli olandesi, che Greco preferisce
non quantificare, ma avrà una significativa incidenza sul bilancio di un
museo i cui introiti nel 2015 sono ammontati a 9,9 milioni di euro, tra
biglietteria, eventi e bookshop, largamente superiori alle sue
necessità primarie (con l’Ermitage è invece previsto uno scambio di
materiali per una mostra su Alessandro Magno che aprirà a Torino nel
dicembre 2017). E c’è il ritorno d’immagine, perché gli oggetti prestati
dall’Egizio, dice Greco, «saranno i nostri ambasciatori nel mondo e
attireranno nuovi visitatori. Dalla Cina sono già venuti a filmarci».
Ma
è soprattutto sul ritorno alla ricerca che punta il direttore: lo aveva
annunciato nell’aprile 2015, inaugurando il rinnovato museo, e già un
mese dopo aveva avviato una nuova stagione di scavi nella necropoli di
Saqqara, in collaborazione con gli olandesi. La ricerca, però, non è
solo sul campo. Si chiama «Hera», Humanities in the European Research
Area, l’ambizioso progetto avviato con le università di Leiden, Basilea,
Bonn, Monaco di Baviera, Copenaghen, Liegi e Oxford, per esplorare
l’immenso giacimento papiraceo di via Accademia delle Scienze: 30mila
frammenti - oltre a diversi rotoli più o meno integri, come il
celeberrimo Canone reale, i Libri dei Morti, la Mappa delle miniere
d’oro, il Papiro dello sciopero, quello della congiura o quello erotico -
che ne fanno il più vasto archivio dell’Egitto pre-ellenistico, dai
testi amministrativi a quelli letterari, rituali, magici e funerari.
Il progetto di ricerca
«Purtroppo
- osserva Greco - né Bernardino Drovetti, il piemontese console di
Francia che nel 1823 cedette la sua collezione a Carlo Felice di Savoia,
avviando così il Museo Egizio, né all’inizio del 900 Ernesto
Schiaparelli hanno lasciato indicazioni sulle circostanze in cui vennero
in possesso dei materiali a Deir el-Medina. Noi procederemo alla
ricontestualizzazione archeologica, utilizzando diverse tecniche come
l’analisi delle grafie, per capire da quali tombe provengono, a quale
epoca e a quali mani si debbano far risalire, e in definitiva per
comprendere meglio come funzionasse la comunità degli artigiani reali.
Si tratta di un lavoro enorme, che richiede un salto di qualità e
l’impiego di una molteplicità di competenze. Per questo abbiamo varato
un consorzio, e chiederemo un fondo europeo tra i due e i due milioni e
mezzo di euro».
Si partirà a novembre con un primo progetto
pilota, a cui seguirà a fine gennaio un incontro a Leiden.
«Predisporremo un software collaborativo che consentirà ai vari
specialisti di lavorare dalle loro sedi, ognuno su un frammento o su un
suo singolo aspetto, fino a ricomporre il puzzle». Tempo previsto, dai
cinque ai dieci anni. «La ricerca produrrà un database online a
disposizione di tutti, preliminare all’edizione dei testi. Finalmente
capiremo quel che abbiamo».
La condivisione della ricerca e dei
suoi risultati è la nuova frontiera, alla base anche del programma di
Public Archaelogy da poco lanciato dal Museo Egizio, in collaborazione
con lo University College of London, per un crowdsourcing egittologico
attraverso la piattaforma tematica MicroPasts. «Non chiediamo al
pubblico di darci dei soldi, ma di collaborare con noi: per esempio
aiutandoci con un apposito programma a scontornare le immagini dei
reperti, per produrre modelli in 3D utilizzabili sia a livello
scientifico sia didattico; oppure trascrivendo documenti d’archivio come
i rapporti di scavo, per renderli disponibili in formato pdf e word».
Non
è solo un modo per sopperire ai limiti delle risorse, è un impegno
programmatico che viene da lontano: da Silvio Curto, storico
sovrintendente del Museo Egizio dal 1964 all’84. Christian Greco lo
tiene sempre presente: «È lui che ha indicato la via: la nostra
collezione appartiene al mondo, e dal mondo deve essere studiata».