La Stampa 12.9.16
D’Alema, nemico perfetto
La nuova strategia per il Sì
Legge elettorale, così il premier punta a stanare gli oppositori
di Carlo Bertini
Il
premier non ha in tasca una proposta alternativa all’Italicum. Nè crede
che un altro progetto possa ottenere in Parlamento una maggioranza più
ampia di quella strappata a fatica (con la fiducia) un anno e mezzo fa.
Fosse
per lui magari punterebbe sul sistema del provincellum, caldeggiato dal
fedelissimo Dario Parrini, che sostituisce le preferenze con 600
collegi uninominali. Ma non lo brandisce, se non altro perché è molto
probabile che non riscuoterebbe grande successo in Parlamento tra chi
vorrebbe magari un ritorno al proporzionale senza ballottaggio. E che
invece è disposto a incassare quella modifica gradita a tutti tranne ai
grillini del premio alla coalizione e non alla lista.
Il cerino in mano agli altri
Dunque,
sondando gli strateghi del Pd si capisce che il vero intento
dell’uscita di ieri «gli altri facciano le loro proposte, noi faremo le
nostre», è rimettere il cosiddetto cerino nelle mani dei dissidenti.
Un’uscita che svela l’intenzione di «verificare prima le proposte degli
altri, dei più zelanti sul tema», confermano i suoi uomini. E si vedrà,
attraverso una modalità ancora da definire (capigruppo Pd con missioni
diplomatiche o altro) se i vari sistemi, come il Mattarellum 2.0
caldeggiato dai compagni, possano ottenere numeri in grado di varcare il
Rubicone. Cosa allo stato assai ardua.
Dividere i nemici interni
Ma
se Renzi ha voluto rivendicare le cose di sinistra del governo, come le
unioni civili o la sintonia con Tsipras anti-austerity è anche per
blandire la parte dei militanti bersaniani, tentando di dividere la
fronda interna tra buoni e cattivi. Perché è convinto che in una contesa
referendaria che allo stato vede le due parti fifty-fifty, se riuscirà a
scalfire il fronte a lui ostile anche di un pezzo, potrà portare a casa
la partita. In ogni caso avverte quelli che lo osteggiano, che pure se
perde il referendum non uscirà di scena: si ricandiderà da leader del
Pd: «Vi aspetto», dice a tutti. E chi pensa di riprendersi facilmente il
partito al congresso di fine 2017 deve fare bene i suoi calcoli.
«Matteo
annusa profumo di vittoria, il clima è cambiato, i sondaggi vanno
meglio, la gente comincia a capire che la riforma è giusta», racconta
chi è vicino al leader dopo il comizio-affondo. E sarà proprio per
questo sentiment positivo, che Renzi trasforma una liturgia come la
chiusura della Festa dell’Unità da parte del segretario, in un processo
di rovesciamento della narrazione fin qui andata in onda sul referendum:
cavalcando lui la personalizzazione, mettendo all’indice i nemici della
riforma. E scegliendosi un avversario con un volto preciso, una figura
da fissare bene nell’immaginario collettivo dei militanti, quella di
Massimo D’Alema. Anzi, due figure per essere più esatti, quella di
D’Alema e dell’altro ex premier di una stagione che fu, Silvio
Berlusconi.
I due vecchi leader
Per provare a vincere il
referendum con la modalità che gli consentì due anni fa di prendere il
potere, la rottamazione dei vecchi «leader del passato», come dice con
tono sprezzante. «Matteo ha voluto mettere in luce che chi oggi
contrasta la nostra riforma che è nel solco delle stagioni dell’Ulivo si
pone da solo in contraddizione», dice il sottosegretario Davide Faraone
lì a Catania con Renzi. «Il suo tentativo è presentare D’Alema insieme a
Berlusconi come i due leader del passato che cercano di frenare il
futuro, due leader che sono insieme agli occhi della nostra base il
simbolo di una politica inconcludente». E come altre volte si è lanciato
nell’imitazione del Berlusca con qualche «mi consenta» buttato lì in
milanese, a Catania si lancia nell’imitazione di «baffino» calcando le
parole alla romana, per demolirne col sarcasmo l’autorevolezza, facendo
sganasciare la platea ma facendo infuriare i compagni come Speranza,
arrivato in Sicilia per ascoltare qualche apertura sull’Italicum più
dettagliata delle ultime. E ripartito col fumo che gli esce dal naso e
il grido di battaglia, «se le cose stanno così voterò no al referendum».