lunedì 5 settembre 2016

Il Sole 5.9.16
Politiche giudiziarie
Il Garante trascurato anti-tortura
Figura chiave per la prevenzione in assenza di una norma penale
di Alessandro Monti


Frenato da posizioni politiche contrapposte, il Parlamento non è ancora riuscito a introdurre nel Codice penale il reato di tortura, come impone la Convenzione delle Nazioni Unite ratificata da oltre venti anni. Inadempiente sul fronte normativo della repressione della tortura, il legislatore è però intervenuto sul fronte della prevenzione. Vediamo come.
Rimedio alle emergenze
Il governo si è trovato stretto tra due emergenze:
quella del sovraffollamento nelle carceri (119 su 193 secondo il Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria) e, dunque, di possibili condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione degli spazi minimi vitali;
quella delle operazioni di allontanamento e rimpatrio forzato degli immigrati irregolari disposte in sede Frontex (direttiva 2008/115/CE).
Ha ritenuto di uscirne con un decreto legge (il 146/2013) che istituisce presso il ministero della giustizia il «Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale»(all’articolo 7). Una soluzione che risponde anche a una terza emergenza: quella degli obblighi discendenti dalla ratifica del Protocollo Opzionale della Convenzione Onu contro la Tortura (Opcat) che prevede la creazione di «Meccanismi nazionali indipendenti di prevenzione della tortura».
Un passo avanti rispetto ai garanti regionali e comunali, non sempre attivi, eletti con modalità e compiti diversificati in relazione alla normativa degli enti di appartenenza. Il nuovo organismo, nominato con decreto del Capo dello Stato e su parere delle commissioni parlamentari, si distingue per l’uniformità della tutela dei diritti dei detenuti, valida sull’intero territorio nazionale, per il più ampio spettro protettivo esteso a tutti i soggetti privati della libertà personale e il ruolo di coordinamento dei garanti locali.
Sul piano istituzionale, però, il legislatore ha disegnato una figura anomala, incrocio tra autorità indipendente e ufficio ministeriale dotato di autonomia, che ha richiesto oltre due anni per divenire operante. Solo lo scorso mese di marzo si è arrivati alla nomina del Presidente del Garante, Mauro Palma, già presidente del Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa (CTP) a Strasburgo e dell’Ong Antigone, e degli altri due membri, Emilia Rossi e Daniela De Robert.
Struttura e poteri
Chiamato dalla legge a provvedere senza aggravi per la finanza pubblica, il ministro della Giustizia si è limitato ad assegnare una sede e fino a 25 unità del proprio organico e aprire un capitolo di bilancio (n. 1753) con 200mila euro, approvando un regolamento che definisce struttura e composizione dell’Ufficio e rinvia il resto a un Codice di autoregolamentazione. La tempestiva adozione del Codice ha consentito al Garante di recuperare spazi operativi sul piano organizzativo e funzionale attenuando l’approccio ancillare del Governo. Sintomatici la facoltà di ottenere, all’occorrenza, personale anche da altre amministrazioni statali e di utilizzare fondi Ue per i monitoraggi dei rimpatri forzati degli immigranti e la fissazione di rigorosi principi guida alla sua condotta e a quella di coloro che collaborano a qualsiasi titolo con il Garante, prevedendo l’immunità agli informatori.
L’intento è di dimostrare che il mandato ricevuto sarà assolto in assoluta indipendenza, neutralizzando così ogni riserva da parte dei rappresentati dell’Onu tenuti ad accertare autonomia e terzietà nei «Meccanismi nazionali di prevenzione».
Sarà comunque determinante la sistematicità dei controlli sulle modalità di esecuzione della custodia, tanto dei soggetti detenuti, tanto di quelli internati o sottoposti a misura cautelare in carcere o ad altre forme di limitazione della libertà, per verificare il rispetto dei diritti e della dignità della persona. Al riguardo, strumenti chiave sono le visite e i monitoraggi senza necessità di alcuna autorizzazione, preavviso e restrizione (31, al 22 luglio 2016). Non solo ai penitenziari ma anche alle residenze per le misure di sicurezza psichiatriche e alle altre strutture destinate ad accogliere detenuti, alle comunità terapeutiche o comunque alle strutture, anche mobili, ove si trovino persone sottoposte a misure alternative al carcere. E nel caso di flagrante violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo («Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti»), il Garante deve informare l’autorità competente perché provveda immediatamente a fermare la violazione in atto, dandone comunicazione all’autorità giudiziaria e al ministro di rifermento.
Strumento importante
Finora trascurata dai media, la nuova istituzione merita invece particolare attenzione e sostegno: nonostante sia priva di poteri diretti d’intervento e armata di meri rilievi e raccomandazioni, la sua autorevolezza e imparzialità potrebbero avere effetti dirompenti sul clima opaco di omertà, prevaricazioni, violenze fisiche e psichiche che, nei luoghi di detenzione, è alimentato da chi profitta dello stato di soggezione e vulnerabilità delle persone private della libertà.
Il passaggio da punto di riferimento nazionale contro ogni forma di abuso sui detenuti e per la denuncia delle relative responsabilità, a vero e proprio deterrente a tortura e trattamenti o pene crudeli, inumani e degradanti, richiederà però regolarità, incisività e trasparenza dell’operato del Garante cui dare ampia diffusione con funzioni dissuasive di potenziali violenze. E, opportunamente, il Codice di autoregolamentazione prevede la pubblicazione sul sito internet dell’esito di visite e monitoraggi e del Rapporto annuale sui risultati dell’azione svolta e sulle eventuali proposte di miglioramento della legislazione di tutela, da trasmettere innanzitutto al Capo dello Stato e al Parlamento.
già ordinario di Politica economica e docente di Scienza dell’amministrazione presso la Facoltà dì Giurisprudenza dell’Università di Camerino