Il Sole 28.9.16
Dopo la conferma di Corbyn
La lenta eutanasia dei laburisti britannici
di Leonardo Maisano
Da
sabato il Regno Unito appartiene all’imbarazzante famiglia dei Paesi a
partito unico. Al fianco di qualche dittatura africana, dunque,
nonostante la storia della più celebrata democrazia parlamentare
dell’era moderna sia ovviamente del tutto diversa dalle satrapie di
Paesi emergenti. A spingerla lungo la china è stata la conferma di
Jeremy Corbyn alla guida del Labour Party, a dimostrazione che un anno
fa non fu scelto per lo shock della sconfitta patita dall’allora leader
Ed Miliband alle politiche del 2015. Non fu, cioè, un incidente della
storia a issare alla testa del governo-ombra il più radicale leader
laburista a memoria d’uomo, ma la scelta consapevole di militanti decisi
a compiere il secondo – dopo Brexit – più sconcertante atto di
autolesionismo politico che si ricordi.
La base laburista ha
ampiamente concorso al divorzio dall’Europa e ora quella stessa base ha
scelto Jeremy Corbyn che dell’Ue è gelido fan, appiattito su dottrine
pacifiste d’antan, schierato sul fronte antiglobalizzazione commerciale,
favorevole alla presenza massiccia dello Stato nell’economia nazionale.
In linea con John McDonnell, il cancelliere dello scacchiere-ombra, che
rivendica la sua adesione al marxismo, dicendo “no” a deregulation e
privatizzazioni e “si” a un’economia a trazione pubblica.
Non
vogliamo infilarci nel dibattito ideologico sul senso del marxismo
nell’Europa di oggi, né ci soffermeremo troppo su quella sensazione di
antico che le parole di Corbyn e McDonnell evocano, ma è evidente che da
sabato il Labour s’è precluso il governo. E la Gran Bretagna è, per
converso, mutata in un Regno a partito unico, dominato dai Tory
nonostante gli sconquassi della Brexit. Ne sono convinti gli elettori
del Labour: il 59% è certo che il partito perderà le prossime elezioni. I
sondaggi confermano l’intuito popolare: 11 punti dividono i
conservatori dai laburisti.
Eutanasia di un partito per la
nascita di un movimento? A Londra sta accadendo qualcosa di molto
simile, un percorso a ritroso sulle ceneri della Brexit, sulle vestigia
del boom and bust precedente e successivo alla crisi del 2008. Jeremy
Corbyn – eletto da una massa eterogenea di “supporter” – si vanta di
aver ampliato la base militante, ridando «voce alla gente». Power to the
people, lo slogan associato a tante forze politiche ad alto tasso di
demagogia, illumina dunque i socialisti britannici, trasformandoli in
una forza di ordinato e coordinato populismo. Vociante, fors’anche
affascinante, ma incapace di attrarre il ceto medio che, fino a quando
le disuguaglianze non lo avranno cancellato del tutto, garantisce la
vittoria nelle società avanzate.
Opposizione perenne dunque,
conseguenza di una trasformazione politica che nasce molto prima di
Brexit, figlia com’è della crisi post-Lehman Brothers. Levatrice del
fenomeno è stata una parola: authenticity, magica espressione che ha
dischiuso a Jeremy Corbyn l’uscio del potere-ombra della vita politica
britannica. Quella voglia, cioè, di genuinità politica e fedeltà ai
principi fondativi che nei valori di una percepita, presunta
“autenticità” permette all’elettore di indentificarsi del tutto con
l’eletto. È questa la radice della vittoria di Jeremy Corbyn.
L’autenticità
presunta del Labour porta con sé deja vu degli anni Ottanta quando
l’ala Militant del partito dominava Liverpool e i sindacati lo tenevano
in pugno più di ora, spaccando elettori ed eletti in fazioni, frustrando
l’allora leader Neil Kinnock e garantendo a Margaret Thatcher mandati a
ripetizione. Ci volle Tony Blair per ridare appeal ai laburisti con
quel New Labour che il corbynismo ha raso al suolo.
Dan Jarvis,
deputato laburista di centro, ferma l’authenticity di Jeremy Corbyn in
un efficace epitaffio. «La purezza della protesta perpetua – ricorda –
spalanca solo la via all’annichilimento elettorale». Che, con tono meno
enfatico, lo storico leader dei Liberal Democrats Paddy Ashdown traduce
così: il partito laburista non può più vincere le elezioni. Invoca,
Ashdown, una forza capace di coagulare al centro i conservatori delusi
da Brexit, i laburisti moderati e naturalmente i LibDem. La corsa di
queste ore di militanti labour – corsetta, in realtà – verso i
liberaldemocratici è il segno di una nuova alba politica ?
Brexit
ha creato i presupposti per una svolta rispetto al bipolarismo
Tory-Labour, il massimalismo corbinista ha fatto il resto, ma sulla via
di una (altra) Terza Via neo-centrista, restano le catene del first past
the post, il sistema elettorale che da sempre garantisce stabilità a
Londra, ma sancisce lo stallo di oggi. Prodotto da Brexit, blindato da
Jeremy Corbyn.