giovedì 15 settembre 2016

Il Sole 15.9.16
Tiziana, le troppe immagini e il senso smarrito della realtà
L’eccesso di dimensione «social» della vita e l’effetto boomerang che può avere
di Giulia Carcasi

Un anno fa Tiziana Cantone aveva fatto notizia: era protagonista di un video porno amatoriale diffusissimo in rete. La sua frase: «Stai facendo il video? Bravo!», detta a chi la filmava, era stata definita dai giornali «un tormentone»: aveva generato parodie, veniva stampata sulle magliette, quasi fosse un fenomeno di costume. Si credeva che Tiziana fosse un’attrice porno e il suo video un furbesco lancio sul mercato: non è forse tutto mercato? Si credeva fosse pubblicità: non è forse tutta pubblicità?
Oggi Tiziana Cantone torna a fare notizia: scopriamo che voleva far sparire il video, la frase, le parodie, bruciare le magliette, stracciare i giornali. Non era un’attrice porno, era una ragazza che aveva commesso una scemenza di cui si era pentita. Aveva mandato il video a un gruppo ristretto di “amici” di cui si fidava; era stato qualcuno degli “amici” a metterlo sui social network, rendendolo visibile a chiunque. Non era un fenomeno di costume, era un fatto di cronaca. Tiziana si è suicidata. Non era mercato, no, non era pubblicità.
La storia di Tiziana sta aprendo discussioni attorno al cyber-bullismo e alla pornografia. Ma prima di questo, credo e temo sia la storia di una società in cui realtà e finzione si distinguono sempre meno. Le notizie rimbalzano di articolo in articolo, di profilo in profilo, senza che nessuno ne verifichi il contenuto: la velocità ha preso il posto della verità. Gli “amici” che dovrebbero conoscerti, ti espongono. Il divertimento è diventato una risata larga, sguaiata. È l’effetto boomerang dei social network, usati come fossero strumenti facili, mentre dovrebbero avere una regolamentazione precisa: se non la rispetti, non li usi. È la doppiezza dei padroni di quei social network, così rapidi a far aprire profili e a far circolare dati (anche soltanto se, inconsapevolmente, si clicca su “accetta”), ma così lenti a far chiudere quei profili e a far ritirare quei dati quando non c’è o decade il consenso dell’interessato.
Al di là della violazione di privacy, esiste il problema di una costante violazione d’intimità: se non ci si esibisce, sembra di non esistere; se non ci si fotografa mentre si ride, sembra che non sia una serata allegra. Anche la terminologia inganna: non è vero che filmando si “riprende” tutto. Mentre si “riprendono”, le cose sfuggono. Puoi girare un video porno amatoriale. Liberissima di inviarlo a chi decidi tu. Hai il diritto che non venga diffuso. Hai il diritto che la gente, dopo aver guardato quel filmato, non offenda, a fatti o a parole, la tua dignità. Hai il diritto all’oblio. Hai il diritto di cambiare nome. Puoi trasferirti in un’altra città, ricominciare. Liberissima. Il megafono, con cui ti si ripete che puoi fare qualsiasi cosa, è talmente insistente da farti scordare chi sei e cosa vuoi. Allora fai quello che fanno tante altre persone e se ne fregano. Ma tu non ne sei capace: sei un passero e vuoi ruggire. Non è nella tua natura. Da allora gli attacchi di panico non ti passano, cadi in depressione e non ci credi più a tutti quei diritti, a tutta quella libertà. Sei una gabbia che vola.
La storia di Tiziana apre una questione che va al di là dell’essere consenzienti o meno: si può finire protagonisti di video hard anche a propria insaputa. È di oggi la notizia che una diciassettenne è stata violentata nel bagno della discoteca, mentre le “amiche” la riprendevano con il telefonino; poi hanno diffuso il video sui social network.
Si è perso il senso della realtà. Ovunque ci troviamo, siamo a portata di telecamera. Siamo tutti paparazzi e paparazzati.
Dobbiamo chiudere l’obiettivo e riaccendere lo sguardo.
Non si tratta di rivendicare la libertà di fare qualsiasi cosa. Si tratta di rivendicare un diritto più grande che, senza accorgercene, stiamo perdendo e che viene prima di ogni altro: il diritto di capire cosa siamo e cosa vogliamo.