il manifesto 8.9.16
Referendum, la Cgil sceglie il No. Ma niente piazza
Sindacato.
La riforma Renzi/Boschi "mette a rischio gli equilibri democratici", ma
non si entra nei comitati: meglio non aprire uno scontro frontale con
il governo. Miceli (Filctem) ci spiega le ragioni di chi invece è
favorevole al Sì
di Antonio Sciotto
ROMA La Cgil
decreterà oggi, ufficialmente, la sua scelta per il No alla riforma
della Costituzione targata Renzi-Boschi. Si attende un voto largamente
maggioritario dei 350 delegati riuniti da ieri in Assemblea generale al
centro Frentani di Roma. Nessuna mobilitazione, però: non si aderirà ai
comitati, come aveva già anticipato la segretaria Susanna Camusso
qualche giorno fa, nessuno scontro frontale con il governo. Per almeno
tre motivi, per quello che possiamo ipotizzare dall’esterno: il primo,
non voler politicizzare troppo il sindacato in una fase delicata, con
tanti tavoli aperti (e Cisl e Confindustria schierate per il Sì); il
secondo: non andare al muro contro muro con il premier, oggi che la
manovra può portare benefici a pensionati e lavoratori; il terzo:
rispettare, comunque, la decisione personale degli iscritti.
Una
presa di posizione netta nei contenuti, quindi, ma molto sfumata e light
nella forma. Che non chiude il dialogo con l’altro campo, nei due mesi e
poco più che ci dividono dal voto, ma che poi nell’urna comunque
boccerà l’opzione Renzi. Anche perché, al di là dei distinguo e delle
opinioni diverse che si sono manifestate nel sindacato fin da maggio,
quando il Direttivo aveva approvato un documento critico rispetto alla
riforma (ma che non si esprimeva ancora esplicitamente per il No), la
Cgil ha le idee molto chiare sulla riforma, e questa idea è
assolutamente negativa: perché individua un pericolo per il nostro
sistema democratico.
«Un superamento del bicameralismo perfetto
così delineato (unitamente al radicale mutamento del procedimento
legislativo e alla centralizzazione delle competenze) – scriveva la Cgil
già nel documento di maggio – attribuisce alla sola Camera dei deputati
e, quindi, al governo, espressione del partito di maggioranza relativa,
una facoltà di determinare le politiche pubbliche che avrebbe richiesto
l’introduzione di adeguati bilanciamenti e contrappesi, volti a
garantire il perdurare dell’indispensabile equilibrio tra potere
legislativo e potere esecutivo. Uno squilibrio aggravato
dall’indebolimento degli organi di garanzia, la cui terzietà non è più
assicurata dalle nuove modalità di elezione previste per la Presidenza
della Repubblica, per i giudici costituzionali di nomina parlamentare e
per i componenti laici del Csm».
Ancora, spiega il documento
elaborato dal segretario confederale Danilo Barbi, «la condivisibile
volontà di semplificare il sistema istituzionale al fine di rafforzarlo e
renderlo più efficiente, si sta traducendo in una semplificazione volta
a ridurre il perimetro pubblico e gli spazi di rappresentanza». Il
rafforzamento del ruolo del governo, «combinato con una legge elettorale
come l’Italicum», «rischia di operare una surrettizia modifica
dell’ordinamento parlamentare». Considerazioni che saranno contenute
nella risoluzione messa al voto oggi in Assemblea.
Ma c’è anche
una componente del sindacato che avrebbe preferito si abbracciasse il
Sì: ci rappresenta questa opinione Emilio Miceli, segretario generale
Filctem (energia, tessile e chimica), già in contrasto con tanta parte
della Cgil nel recente referendum trivelle (in quel caso si schierò per
il No). Definisce la sua posizione «malpancismo del Sì», perché «mi
rendo conto dei limiti della riforma: non sono chiare fino in fondo le
funzioni del nuovo Senato». Ma – aggiunge – «ci vedo tre pregi forti: 1)
con il monocameralismo si sveltisce il potere decisionale, senza
conferire poteri straordinari all’esecutivo come ci chiedevano i poteri
forti sovranazionali. Anzi, la decretazione di urgenza regredisce; 2) si
risolve il pastrocchio che si era fatto con il Titolo V: in 20 anni non
siamo riusciti a portare a termine una sola grande opera; 3) si scrive
per la prima volta che “il lavoro pubblico giuridicamente è in capo allo
Stato”».
«Tutto questo non cambia il mio giudizio sul governo
Renzi – prosegue Miceli – Ha fallito in economia nonostante le cure di
cavallo imposte a lavoratori e pensionati». «Per quanto non condivida il
documento finale dell’Assemblea – conclude – lo trovo però degno di
nota, perché lascia spazio alla riflessione personale e non impegna la
Cgil nella mobilitazione, confermando la sua natura di grande casa
plurale».