il manifesto 21.9.16
Mance elettorali Renzi copia Lauro
Renzismo.
 Si avvicina una elezione (o un referendum) e scatta il "laurenzismo", 
il regalo nell’urna. Dopo gli 80 euro, dopo le decontribuzioni agli 
imprenditori per truccare le statistiche sull’occupazione, adesso si va 
verso il dono elettorale ai pensionati. Naturalmente poi Renzi si 
riprende tutto con nuove tasse
di Michele Prospero
La
 ragione vera del mistero non ancora svelato della data del referendum 
costituzionale è presto scovata. Il governo, per la comunicazione tenuta
 segreta sino al 26 settembre, aspetta il tempo necessario per mettere 
in finanziaria una mancetta e darla in pasto ai pensionati. I numeri 
dell’economia sono disperati, la crescita è un miraggio, la deflazione è
 un dato inoppugnabile e per questo molto forte è il rischio che 
scattino le fastidiose clausole di salvaguardia (innalzamento dell’Iva).
 Non importa.
Occorre comunque annunciare un
 regalo di Natale, e per imprimerlo bene nella memoria labile dei 
cittadini bisogna ricorrere ad acrobazie procedurali per farlo 
riscuotere in prossimità del voto, anche se lo sfizio si paga con due 
miliardi di tagli alla sanità.
Da 
responsabile del collasso sempre più palpabile dell’economia, il governo
 cerca di tramutarsi in gran benefattore che consegna ai pensionati il 
miraggio di avvicinarsi ad una miniera d’oro. In prossimità delle feste 
Renzi spera che il suo dono in moneta trovi una ricompensa alle urne, 
dove “basta un sì” per salvarlo dal diluvio. Il rottamatore, che si è 
fatto strada con una posa giovanilista assunta come la sola identità, 
vista la carenza di pensiero, invoca il soccorso dei vecchietti, con 
pensioni al minimo da pura fame, senza la comprensione dei quali è 
condannato a convivere con il fantasma di moti spontanei di ribellione 
che lo accompagnano in ogni luogo d’Italia.
Con
 una figura retorica, il “laurenzismo”, si può cogliere lo stile del 
potere odierno. È la combinazione di due tipologie di governo, quella di
 un lupo di mare, “’o Comandante” di Napoli, e quella del caporale di 
Rignano, la caricatura dell’uomo solo al comando. Come il comandante, 
che con elargizioni, cronoprogrammi miracolistici e annunci 
avveniristici regnava su Napoli, così il sindaco d’Italia predilige la 
pioggia di annunci e l’offerta di mance in cambio del voto. Con la 
semplice benedizione dell’America, della Germania e di ogni potere 
finanziario ed economico, non riesce a trovare la fiducia del popolo e 
per questo sforna incentivi, bonus, regali, promesse.
Con
 le sue pratiche deteriori di scambio, il laurenzismo è la causa della 
rovina, non certo l’ultimo ramo cui aggrapparsi per non sprofondare. Con
 gli 80 euro in busta paga ha inguaiato l’Inps, e tolto le coperture 
pensionistiche e contributive. Con le decontribuzioni per le assunzioni 
ha accollato alla fiscalità generale, e quindi alla contrazione delle 
politiche pubbliche, i costi di una liquidità concessa per le imprese, 
che hanno benedetto le nuove tipologie contrattuali solo per 
regolarizzare rapporti di lavoro già in essere ottenendo in cambio 
soldi. Lo sforzo di elargire doni in autonomia, che sono preferiti alla 
decisione di sbloccare i contratti fermi da anni, serve al governo della
 narrazione per abbattere il ruolo del sindacato, destituire di senso 
l’azione collettiva e spegnere le politiche pubbliche.
Lauro
 e Renzi, insieme definiscono un leader ambiguo, un “laurenzi” 
insidioso. Il mozzo divenuto grande armatore a capo di una flotta, 
produttore cinematografico con amori da rotocalco, sindaco e 
parlamentare era un ricco imprenditore che si era fatto da sé. Ermanno 
Rea presentava però la prigionia a Padula come l’occasione per i servizi
 segreti americani di fabbricare in laboratorio un loro uomo. Il ricco 
che si dedica alla cosa pubblica solo per sacrificio, e promette di 
gestirla come una azienda volta a mirabili profitti che piovono su 
tutti, anticipa l’immaginario eroico della seconda repubblica.
Vicino
 alla settantina ma con un fisico asciutto, sempre abbronzato, con una 
insistita ricercatezza nel vestire, Lauro coniugava l’autoritarismo del 
padrone, che non a caso dichiarava guerra agli ambulanti, e la 
generosità del ricco premuroso verso i suoi poveri subalterni, sedotti 
con fantasiose pratiche clientelari e con la simbologia del denaro che 
accende l’illusione dei disperati. Anche lui parlava sempre di 
“bellezza” e di valori e, specialista ante litteram di annunci, 
prometteva di rendere Napoli il “giardino d’Europa” sul mare, una 
“perla”.
Le ingannevoli luci di Piedigrotta,
 e le parabole dell’immaginario che inseguivano i miti di una Napoli 
milionaria, si accompagnavano però a scelte di governo dal volto 
distruttivo. Ad alcune aree del centro, in effetti aggiustate con dei 
tratti regali, con pavimentazioni di velluto, giusto per soddisfare le 
regole della politica simbolica, corrispondevano zone immense di degrado
 e abbandono. Il primo atto della sua amministrazione fu l’abolizione 
del piano regolatore, con il risultato che la città fu abbandonata alla 
proliferazione di grattacieli abusivi, a sopraelevate, a privatizzazioni
 di ville e beni pubblici.
L’armatore, che 
per i democristiani negli anni cinquanta era una variante di Verdini, 
pronto a giravolte e abboccamenti con il governo centrista, con i voti 
raccolti dal suo movimento monarchico-clericale diede comunque un 
dispiacere ai padri ispiratori di Renzi, cioè a De Gasperi e Scelba che 
imposero la legge truffa a colpi di fiducia, come è accaduto con 
l’Italicum, per vederla rigettata dal popolo alle urne. A Renzi il 
comandante lascia però una eredita: l’annuncio, il cronoprogramma, l’uso
 dei simboli come arte del governo. E soprattutto consegna l’uso 
politico delle mance in una città che annusava l’oro e precipitava nel 
fango.
In cambio del voto, un dettagliante 
napoletano si vedeva abbonato il debito mensile verso il grossista che 
gli forniva la merce. In caso di vittoria, i galoppini restituivano agli
 smercisti le cambiali firmate per avere la roba. Ad altri elettori 
venivano recapitate scarpe spaiate che si appaiavano solo a voto 
incassato. Lauro dava una scarpa, la seconda la consegnava a votazione 
conclusa. Renzi dà la mancia e poi però se la riprende con nuove tasse, 
tagli alla sanità, ai servizi, ai trasporti, all’assistenza.
Renzi
 non stuzzica l’immaginario riscaldato invece dal comandante napoletano 
perché è percepito come un arrogante, un arrampicatore che, con la 
cricca al seguito, si appropria dei simboli del potere. Lo iato tra la 
responsabilità del potere e la effettiva levatura del ceto politico 
chiamato a ricoprirlo è poi così accentuato che i regalini non producono
 consenso.
Il laurismo due punto zero non 
funziona come pratica di governo e frana anche come veicolo di 
costruzione di un consenso durevole. Gli effetti dei bonus sono così 
labili che durano solo il giorno del voto per poi dileguarsi come 
palliativi inutili. Ecco il giorno del voto, quando ci sarà la data 
certa? Il referendum sarà celebrato quando i pensionati riscuotono 
l’assegno di dicembre e un bonus del governo precipita come un timbro 
sul loro certificato elettorale. La politica-panettone è però la miseria
 svelata del nuovismo dei rottamatori che prepara un disastro.