il manifesto 20.9.16
La svolta Labour «che i parlamentari non hanno capito»
Intervista
a Donald Sassoon. «Non sono solo i deputati moderati ad aver vissuto in
una bolla completamente rimossa dall’umore della base del partito, è
anche la stragrande maggioranza dei commentatori. Guardian in testa»,
spiega lo storico inglese
di Leonardo Clausi
LONDRA
Donald Sassoon, professore emerito di storia europea comparata presso
il Queen Mary College, dell’Università di Londra, è uno dei massimi
esperti di socialismo europeo. Autore, fra gli altri de La cultura degli
europei. Dal 1800 a oggi, ha appena terminato un tomo sul capitalismo
globale dal 1880 al 1914.
Professor Sassoon, Jeremy Corbyn ha
dimostrato la sua attuale invincibilità all’interno del partito
resistendo a un attacco frontale durissimo da parte dei suoi stessi
deputati. Che dopo questa sonora débâcle sono affranti.
Di solito i
leader politici dicono che vinceranno le elezioni, anche quando è
palesemente vero il contrario, pensiamo al leader dei
liberal-democratici Tim Farron, alla guida di un partito decimato i cui
deputati entrerebbero in un taxi, che ha fatto affermazioni quasi
trionfalistiche. Solo i centristi del Labour ripetono ossessivamente che
il loro partito le perderà.
Questa “lotta per l’anima del
partito” riflette la spaccatura tra due blocchi sociali al suo interno
come del resto nel paese reale?
Non sono solo i deputati moderati
ad aver vissuto in una bolla completamente rimossa dall’umore della base
del partito, è anche la stragrande maggioranza dei commentatori,
Guardian in testa, che troppo spesso si contentano di ottenere le loro
informazioni politiche semplicemente andando a pranzo e a cena a
Westminster con loro.
La componente parlamentare proprio non ne
vuole sapere di lasciare che un po’ di buona, vecchia democrazia si
diffonda nel partito laburista.
No. Anzi, il Parliamentary Labour
party (Plp) si trova di fronte al paradosso dolorosamente descritto da
Brecht a proposito del partito comunista della Repubblica Democratica
tedesca nel reprimere le rivolte del ’53: “Non sarebbe meglio sciogliere
il popolo ed eleggerne un altro?”
Tutto questo pessimismo cosmico dei moderati è giustificabile? Quanto “ineleggibile” è davvero Jeremy Corbyn?
È
poco probabile che il partito possa vincere le prossime elezioni, anche
solo per via delle enormi perdite subite in Scozia nel 2015 a vantaggio
dei nazionalisti, una sconfitta incassata da Ed Miliband prima che
Corbyn diventasse leader del partito. Tanto più che da nessuna delle due
parti sembra esserci appetito per una coalizione con lo Scottish
National Party (Snp). Ma i centristi, che sono del tutto privi di uno
straccio di leader, di certo non le vincerebbero nemmeno loro. Nella
sua storia dal secondo dopoguerra, il partito laburista ha vinto le
elezioni solo con Attlee, con Wilson, e con Blair (ben tre volte con
quest’ultimo), ma il nome di Blair oggi è una parolaccia nel partito e
nel paese in generale.
Gli attacchi alla leadership sono piovuti
anche con la scusa che i tories potrebbero andare di sorpresa alle urne
approfittando del caos interno all’opposizione per ottenere un mandato
più schiacciante.
Quanto al rischio di elezioni anticipate: per
indirle, Theresa May dovrebbe passare sopra a una legge introdotta di
recente che ne impedisce la convocazione. È una cosa che potrebbe fare,
ma al momento sembra improbabile. Di solito la tradizione vuole –
l’hanno fatto vari primi ministri in passato, compreso Blair – che le si
convochi al quarto anno, cioè un anno prima che finisca la legislatura.
Come commenta le ossessive accuse a un partito improvvisamente ostaggio di antisemitismo, sessismo e di trotzkismo?
Corbyn
aveva commissionato un’inchiesta interna sul presunto antisemitismo nel
Labour a Shami Chakrabarti (ex leader storica dell’organizzazione per i
diritti civili Liberty, ndr). Le accuse di antisemitismo sono
abbastanza irrilevanti, le ho vagliate assieme ad altri iscritti ebrei
al partito. In proporzione c’è molto più antisemitismo nel partito
conservatore e per ovvie ragioni; in Gran Bretagna gli ebrei sono pochi e
stanno abbastanza tranquilli rispetto al resto d’Europa, ma soprattutto
in confronto alla marea islamofobica dilagante nel paese. Quanto al
trotzkismo, è un’accusa ridicola, parliamo di pochissimi elementi che
peraltro c’erano in tutti i partiti della sinistra europea, Pci
compreso.
Come giudica la situazione in Gran Bretagna rispetto a quella del resto dell’Europa?
Il
quadro per la sinistra europea è abbastanza desolante, se uno guarda
alla Germania e all’Italia, ma anche alla Grecia, alla Spagna e,
soprattutto, alla Francia.
Ora tutti i moderati sembrano
convergere trepidanti attorno alla figura del neo-sindaco Sadiq Khan:
working class, moderato, e pro-business comme il faut.
È l’unico, a
parte Corbyn, che potrebbe ambire alla leadership, ma al momento gli
conviene fare il sindaco. Si troverà in una situazione simile a quella
di Boris Johnson, che verso la fine del suo mandato da sindaco ha
cominciato a programmare il proprio ingresso in parlamento per la
scalata al vertice.
Cosa pensa del programma appena delineato al congresso di Liverpool? È poi così spietatamente socialista?
Si
fa un gran parlare delle nazionalizzazioni: in realtà quelle non le
chiede nessuno, eccetto che per le ferrovie, il che, secondo i sondaggi,
sarebbe una cosa alquanto popolare. Le ferrovie di questo paese sono un
disastro. Le altre cose proposte (aumento del salario minimo ecc.) sono
“banalmente” social-democratiche.
Da allievo e amico del compianto Eric Hobsbawm, secondo lei cosa avrebbe pensato il grande storico della Brexit e di Corbyn?
Sulla Brexit sarebbe senz’altro dalla parte del Remain. Quanto a Corbyn non lo so.