Corriere 9.9.16
«È il nuovo machismo, fomentato dalla religione»
La femminista Fourest: «Uscire in gonna in certi quartieri diventa un gesto di coraggio»
di Stefano Montefiori
PARIGI
«Bisogna essere prudenti, l’inchiesta non è ancora finita. Ma
bisognerebbe essere ciechi per non vedere che l’intolleranza sta
crescendo, che certi giovani si comportano da machisti violenti.
L’ascesa del machismo nei quartieri popolari non è una novità». Caroline
Fourest, femminista autrice di molti saggi tra cui «La tentazione
dell’oscurantismo», schierata contro l’estrema destra e contro
l’integralismo islamico, non è sorpresa dai fatti di Tolone.
È possibile legarli alla questione religiosa e all’islamismo?
«Inutile
girare intorno al problema, al di là del caso specifico il machismo
oggi esplode perché c’è un ritorno dei valori tradizionali e religiosi,
che danno la sensazione a qualcuno di essere autorizzato a fare la
morale agli altri».
Come il 31 dicembre a Colonia, quando le donne furono molestate perché erano occidentali e quindi troppo libere?
«Gli
aggressori possono essere più o meno praticanti, ma sarebbe naïf
ignorare il legame tra l’aumento della violenza integralista e il fatto
che dei machisti si autorizzano a richiamare le donne all’ordine su come
si vestono. Non sono automatismi ma fanno parte di un clima, e il
fondamento di tutto è il ritorno della dominazione maschile. Il punto
comune tra i fatti di Colonia, le aggressioni per strada o l’ascesa di
un radicalismo più strutturato e religioso, è il ritorno del machismo,
nella sua forma più violenta e volgare».
Il machismo precede la religione?
«Andrei
più lontano, direi che il ritorno della religione dipende dal desiderio
di ritornare alla dominazione maschile. Le nuove generazioni si
attaccano alle motivazioni religiose perché queste offrono loro il
pretesto di potere insultare le donne per strada, di picchiarle, di
sfogare la loro frustrazione. I Paesi arabi o musulmani non sono certo i
soli a conoscere questo fenomeno. C’è una cultura patriarcale che
prospera a quanto più l’identità religiosa è forte, perché tutte le
religioni favoriscono il machismo. Ma quando uno cresce in una cultura
in cui la religione è così esacerbata, ha più facilmente la sensazione
di potersi comportare come un piccolo tiranno».
Quanto conta la polemica sul burkini?
«Il
compito della democrazia è veramente difficile, perché bisogna trovare
un equilibrio sottile. Io ho preso posizione contro le ordinanze
anti-burkini, ma quell’indumento è il sintomo di un regresso terribile.
Il miglior modo di dissuadere dalla moda machista del burkini è di
educare alla parità nella scuola laica, non attraverso i divieti in
spiaggia. Il Consiglio di Stato ha fatto bene a cassare le ordinanze dei
sindaci, ma allo stesso tempo è giusto affrontare il problema,
difendere la parità nella scuola, lavorare alla radice perché questo
machismo indietreggi».
Come giudica le femministe francesi al riguardo? Forse timide?
«Confondono
rispetto del diritto e abbandono della lotta femminista. La maggior
parte delle femministe sono anche militanti anti-razziste. Anche io lo
sono. E infatti oggi è difficile condurre due battaglie allo stesso
tempo, lottare contro il razzismo e anche contro il sessismo, perché
capita che le vittime preferite del razzismo siano talvolta anche i
principali responsabili del sessismo. Io sono femminista, laica e
anti-razzista, non rinuncio a nessuna delle tre lotte».
Quest’estate,
durante un incontro pubblico a Milano, lo scrittore Michel Houellebecq
ha detto che le donne italiane si vestono in modo più attraente delle
francesi, perché queste ultime ormai hanno paura di essere infastidite
per strada. Lei ha la stessa impressione?
«Non saprei se ci sono
davvero differenze tra Milano e Parigi. Ma è vero che nei quartieri
popolari, in Francia, andare in giro in gonna o in pantaloncini corti è
diventato un gesto di coraggio. Vent’anni fa non era così».