Corriere 9.9.16
I sovrani assoluti affascinano ancora l’Impero cinese
di Guido Santevecchi
Nel
sarcofago di cristallo Mao Zedong imbalsamato sprigiona una luminosità
arancione, effetto delle sostanze usate negli interventi conservativi. È
lì da 40 anni il corpo del Grande Timoniere della Cina comunista, morto
il 9 settembre del 1976. È stato il comandante della Lunga Marcia, il
vincitore della guerra civile contro i nazionalisti, il fondatore della
Repubblica popolare, anche un poeta raffinato. E poi, raggiunto il
potere (imperiale, pur se sotto denominazione popolare) è stato il
pianificatore dell’assurdo Grande Balzo in Avanti per
l’industrializzazione, che tra il 1958 e il 1962 provocò in Cina una
terribile carestia. E infine fu il politico cinico che lanciò la
Rivoluzione Culturale nel 1966 per restare aggrappato al potere,
consegnando il Paese alle Guardie Rosse e al caos fino al 1976. Alla
morte, quando aveva 83 anni, lasciò un Paese arretrato. Era un Paese
sottosviluppato la Cina di allora, ma mettendoci in fila davanti al
mausoleo in piazza Tienanmen con le migliaia di cinesi venuti a rendere
omaggio alla mummia, ci siamo trovati accanto molti convinti che Mao
avesse creato «una società armoniosa nella quale le persone potevano
fidarsi una dell’altra». I giovani, spenta la suoneria dello smartphone,
s’inchinano e depongono crisantemi. Eravamo poveri ma lo eravamo tutti,
quindi eravamo uguali, è il ragionamento dei nostalgici del comunismo e
di quelli che non si sono arricchiti. Nella Cina divenuta seconda
economia del mondo, patria di un capitalismo statale sfrenato, oggi c’è
un nuovo imperatore, Xi Jinping. Gli avversari interni e molti in
Occidente pensano che Xi stia riaccentrando il potere nelle mani di un
uomo solo e fomenti un culto della personalità. Il suo obiettivo è di
salvare il comunismo imperiale. Perché comunque la Cina resta un impero
che subisce il fascino dei sovrani assoluti