Corriere 5.9.16
Le donne , il piacere: cosa è successo
La
pillola, legale in Italia da 45 anni, ha rivoluzionato la sessualità
femminile. Ma la strada è ancora lunga, tra conquiste ed errori
di Elena Tebano
La
sessualità femminile in Italia ha una data di nascita ufficiale (e
recente): 1971. È il 16 marzo di 45 anni fa quando la contraccezione
smette di essere un reato — contro la stirpe, per altro: la Corte
costituzionale dichiara illegittimo l’articolo 553 del Codice penale
introdotto dal Fascismo che puniva chiunque incitasse all’uso degli
anticoncezionali. La pillola, comparsa nelle borse delle donne già dagli
anni 60, diventa legale e permette alle italiane di far sesso per il
piacere di farlo senza rischiare di avere figli che non vogliono.
L’estate di quello stesso anno Carla Lonzi, raffinata (e oggi spesso
dimenticata) teorica del femminismo, pubblica «La donna clitoridea e la
donna vaginale» per la casa editrice del gruppo Rivolta femminile.
Sessantaquattro pagine in cui sostiene che il vero orgasmo è quello che
si ottiene con la stimolazione del clitoride e non quello che deriva
dalla penetrazione, e afferma che la cultura maschile ha intrappolato le
donne in un mito per molte irraggiungibile. Una distinzione che
fornisce un grimaldello psicologico alla lotta delle donne: il clitoride
«diventa l’organo in base al quale “la natura” autorizza e sollecita un
tipo di sessualità non procreativa», scrive Lonzi, che denuncia «nella
colonizzazione sessuale la condizione di base dell’indebolimento e
dell’assogettamento della donna». La critica della sessualità e la
ricerca di una sua espressione autentica diventano uno dei cardini del
movimento femminista, articolate e rivissute quotidianamente nei gruppi
di autocoscienza. È una rivoluzione copernicana.
«Prima del
femminismo una donna per bene non doveva provar piacere: doveva
adeguarsi a quello maschile e magari diventare madre. Se perseguiva il
proprio piacere era considerata perduta. La generazione di mia madre
parlava del sesso come un fastidio inevitabile che si poteva superare
perché ci si voleva bene — racconta Barbara Mapelli, studiosa e
scrittrice che a quella stagione ha preso parte —. Per noi, che avevamo
tutte tra i 20 e i 30 anni e avevamo già avuto figli, era ovvio partire
da lì: ci rendevamo conto che la sessualità socialmente e culturalmente
imposta negava il nostro desiderio».
Quarantacinque anni sono poca
cosa nella storia dell’umanità, eppure quei tempi non potrebbero
sembrare più lontani. Che cosa resta adesso di quel tentativo? Il
movimento femminista ha davvero contribuito alla liberazione sessuale
delle donne? E c’è ancora bisogno di una riflessione sulle forme e i
modi della sessualità?
Se da un lato nessuno (almeno in Italia e
in Occidente) può più mettere in discussione il diritto delle donne al
piacere nel sesso, dall’altro sembrano ormai altrettanto inaccettabili
alcuni eccessi di quegli anni. «Il nostro errore — spiega ancora Mapelli
— è stato pensare che con il pensiero si possano immediatamente mutare i
comportamenti. Noi li cambiavamo ma così finivamo per esasperarli e
perdevamo autenticità».
Oggi è dunque scomparsa l’idea che esista
un tipo più vero (o libero) di orgasmo. Ed è sparita anche quella —
sostenuta dalle teoriche radicali americane degli anni 70 Catharine
MacKinnon e Andrea Dowrkin — che le donne nel sesso vengano
inevitabilmente ridotte a oggetti del piacere maschile, una reificazione
che le priverebbe di umanità e da lì finirebbe per definire tutta la
condizione femminile. Su questo tema ha scritto pagine bellissime la
filosofa Martha Nussbaum che in un saggio del 1995 «Persona oggetto»
(pubblicato in Italia due anni fa da Erickson) spiega come in condizioni
di parità e di rispetto reciproco uno degli aspetti «meravigliosi» del
sesso sia trattarsi a vicenda come oggetti di desiderio e piacere e
perdere l’autosufficienza e il controllo che caratterizzano gli altri
ambiti della nostra esistenza.
Ma se le donne godono di maggiore
libertà non significa che la sessualità sia «finalmente» libera o
autentica. Il problema è soprattutto quello che Roberto Todella,
sessuologo e presidente del Centro interdisciplinare per la ricerca e la
formazione in sessuologia chiama «modello prestazionale» su cui uomini e
donne tendono a valutare se stessi e ciò che fanno a letto.
«L’attenzione
al piacere, anche da parte delle donne, è diventata centrale, ma sempre
più spesso viene misurata sull’immaginario della pornografia con la sua
insistenza su posizioni, intensità, ruoli stereotipati — dice Todella
—. In questo scenario la donna è sempre disponibile e sembra godere
qualunque cosa le venga fatta, l’uomo deve essere prima di tutto forte,
prestante, impositivo. Se il sesso diventa imitazione di un repertorio
precostituito, però, non è più un’esperienza, non passa attraverso la
conoscenza di sé e si deforma per aderire a un copione scritto da altri.
Smette di rappresentarci».
Una tendenza evidentissima secondo
Yasmin Incretolli, scrittrice 22enne che in «Mescolo tutto» (Tunuè,
2016) ha raccontato anche la centralità del sesso (spesso mal vissuto)
nella sua generazione. «La rivoluzione sessuale ormai è sdoganata —
afferma —, ma spesso il sesso viene vissuto come se fosse un mantra, in
modo ritualistico ed estremizzato». Anche perché manca una vera
educazione alle sessualità a scuola e da parte di molti genitori:
«L’insegnante per i maschi è Internet, la pornografia. I maestri delle
ragazze sono i ragazzi che si scelgono: anche per loro c’è un nesso con
il porno, filtrato però dai gusti del loro compagno, che è anche peggio.
Il sesso dovrebbe essere scoperta di sé, non un’ospitata nel mondo
maschile».
Non è un caso che tra i temi dei nuovi femminismi ci
sia la riappropriazione in chiave emancipatoria della pornografia: «I
movimenti del post porno hanno dimostrato che è possibile una
pornografia diversa, che non riproduca le medesime strutture di potere
della società che mette a nudo, in cui l’uomo sta sopra e la donna
sotto, in tutti i sensi», dice Barbara Bonomi Romagnoli, autrice di
«Irriverenti e libere. Femminismi nel nuovo millennio» (Eir, 2014). È
solo uno dei tentativi delle nuove generazioni femministe di riprendere
la questione sessuale, «che rimane rilevante e viene declinata da vari
punti di vista — rileva Bonomi Romagnoli —, dalle ragazze del Sexishock
che nel 2001 mettono al centro del loro discorso politico la parola
“desiderio” e aprono il primo sexy shop autogestito da donne per donne
in Italia, ai femminismi più radicali che pongono in maniera
problematica la questione dell’identità sessuale, sostenendo che è
fluida e non classificabile una volta per sempre. Il femminismo
d’altronde non può non occuparsi di sesso, perché di fatto un sesso ha
ancora potere su un altro, perché si continua a voler dettare norme
sulle sue pratiche (vedi il «fertilityday») e perché le relazioni e i
rapporti sociali ci sono a partire dai rapporti di forza fra i generi.
Affinché siano sane è necessario che la sessualità attenga alla
consapevolezza e autodeterminazione dei singoli». Con una consapevolezza
nuova rispetto agli anni 70: la ricerca di una sessualità più autentica
è una liberazione non solo per le donne ma anche per gli uomini.