Corriere 30.9.16
Roberto Faenza
«Voglio riaprire il caso Orlandi con il mio film scomodo»
di Valerio Cappelli
ROMA
«Verrò attaccato, lo stanno già facendo su Internet», dice Roberto
Faenza. Archiviato dai giudici, il «caso» Orlandi si riapre al cinema.
Il titolo del film, La verità sta in cielo (dal 6 ottobre) è ciò che
Papa Francesco ha detto ai familiari di Emanuela Orlandi, scomparsa il
22 giugno 1983.
«È la prima volta che un Papa dice che è morta»,
ricorda Faenza, convinto invece che la verità su questa storiaccia di
depistaggi e malavita romana sulla sparizione di una giovanissima
cittadina vaticana «sta in Terra». Costruito con l’aiuto dei giudici che
per 33 anni se ne sono occupati, racconta di come una tv inglese,
sollecitata dallo scandalo di Mafia Capitale, decide di inviare a Roma
una giornalista (Maya Sansa) per raccontare dove tutto ebbe inizio. Il
film (di cui i protagonisti hanno parlato ieri su Corriere Live con
Tommaso Labate e Stefania Ulivi) farà discutere per una ipotesi e una
tesi.
L’ipotesi è nella scena finale, avvalorata da Pietro
Orlandi, fratello di Emanuela, che interpreta se stesso: il Vaticano
avrebbe proposto uno scambio alla Procura di Roma. Lo Stato si incarica
di trasferire dalla Basilica di Sant’Apollinare,nel cuore di Roma, la
tomba del criminale Enrico De Pedis, detto Renatino (l’attore è Riccardo
Scamarcio) togliendo dall’imbarazzo la curia che col cardinale Poletti
aveva accettato di seppellirlo lì, in cambio la Chiesa consegna ai
giudici il documento secretato che contiene, se non la verità, qualcosa
di molto vicino, e cioé quello che il Vaticano sa del «caso» Orlandi.
La
tesi, dice il regista, è «nel coinvolgimento del pontificato di papa
Wojtyła, che è appena stato fatto santo. Io non credo che lui fosse
informato di ciò che combinava l’arcivescovo Marcinkus allo Ior, la
banca del Vaticano: i traffici per non pagare le tasse in Italia,
l’alleanza col banchiere Calvi. È stato un errore tenere Marcinkus,
Bergoglio non l’avrebbe mai fatto. Wojtyła usò denaro per sconfiggere la
dittatura dei Paesi dell’Est». Nei depositi dello Ior, secondo il fim,
c’era anche il denaro sporco riciclato da De Pedis. Lui eseguì il
sequestro di Emanuela Orlandi per mettere sotto pressione la Chiesa, che
non aveva restituito ciò che gli aveva dato. «Io spero che il mio film
serva a far riaprire il caso Orlandi. Manca un ultimo metro, il dossier
che il Vaticano rifiuta di dare. «Forse, se lo tirasse fuori si saprebbe
la verità». Pietro Orlandi spera «sia visto da chi ha deciso
l’archiviazione, perché torni sui suoi passi».