domenica 25 settembre 2016

Corriere 25.9.16
Il Labour sceglie l’opposizione perenne
Corbyn stravince il ballottaggio per la leadership: con lui il partito non sarà mai di governo
di Fabio Cavalera

LONDRA I laburisti ripartono da Jeremy Corbyn che stravince il ballottaggio per la leadership, lasciandosi alle spalle lo sconosciuto (o quasi) Owen Smith. Alla vigilia del congresso di Liverpool, la maggioranza degli oltre cinquecentomila iscritti (il 61,8%) lo ha incoronato per la seconda volta, sottolineando come il dna del partito sia ormai mutato.
Il centrismo, la moderazione e le logiche di apparato sono indigesti, la base sposa le idee e le politiche della sinistra movimentista. La «terza via» di Tony Blair è poco più che uno scheletro nell’armadio da eliminare. Il nuovo, se così si può chiamare, è l’accentuata rivalutazione di bandiere storiche: il pacifismo, il no alla globalizzazione, l’egualitarismo sociale, l’opposizione dura ai programmi economici di austerità e il disprezzo per l’establishment del partito.
Jeremy Corbyn è un uomo onesto, coerente con il suo passato, abile nello sfruttare la situazione che si è creata. Ha molto diviso e ora da trionfatore si presenta col ramoscello d’ulivo: «Siamo una famiglia, concentriamo le nostre energie per battere i conservatori». Vince per tre ragioni sostanziali: perché lo appoggiano i giovani del partito, molti dei quali di recente iscrizione si richiamano alle suggestioni marxiste e sono distanti anni luce dalle oligarchie londinesi, poi perché lo appoggiano i sindacati che condizionano gli equilibri laburisti, infine perché non ha avuto rivali autorevoli. Cavalcando l’onda della protesta, facendo della semplicità e della banalità il suo biglietto da visita, ha sbaragliato un campo avverso assai eterogeneo, composto da figure legate al mondo di Tony Blair, da figure di secondo piano e prive di un chiaro progetto progressista alternativo.
Il centrosinistra britannico conserva un bacino elettorale ampio, il 30 per cento potenziale secondo le stime, ma sbanda non avendo unità di intenti, il che produce distacco, fastidio e disaffezione. La stragrande maggioranza della base è schierata con Jeremy Corbyn. Al contrario il gruppo parlamentare della Camera dei Comuni che lo ha sfiduciato in luglio è quasi tutto contro (172 a 40).
Il referendum sulla Brexit è stato il detonatore della guerra civile interna e ha prodotto più danni fra i laburisti che non fra i conservatori, pronti a pensionare Cameron. Il no all’Europa è passato in quanto Corbyn si è sfilato dalla campagna consentendo ai «brexiteers» di sfondare. Ambiguità voluta. Lo stesso Corbyn è un convinto anticapitalista e avversario dell’Unione Europea. Ha timidamente predicato in un modo (per il sì all’Europa), ha nella sostanza e segretamente sperato che vincesse la Brexit. Il suo camaleontismo ha accentuato il disorientamento dell’elettorato di riferimento. Il risultato è che, secondo un sondaggio di YouGov (per quel che può valere), almeno una metà dei laburisti si è espresso per la Brexit e che buona parte di essi non è per ora disposta a dare fiducia al partito.
Eletto nel 2015 dopo la Caporetto di Ed Miliband, Jeremy Corbyn ha affrontato due test. E li ha perduti entrambi. Alle amministrative i laburisti sono arretrati, pur riconquistando Londra (con Sadiq Khan, non vicino a Corbyn), hanno subito lo smacco nel fortino scozzese dove sono terza forza politica dietro persino ai conservatori. Ovunque hanno subito un’emorragia a favore dell’insofferenza populista targata Ukip. Poi a giugno il referendum sull’Europa.
Il gruppo parlamentare ha tentato di disarcionarlo e il suo governo ombra si è dissolto. Ma Corbyn non ha mollato e si è ricandidato. Ha vinto il braccio di ferro. Ed è più che mai in sella.
Che sia la persona giusta per riunificare le correnti e le anime del partito, come promette, è difficile. Fra chi lo fiancheggia e lo sostiene sono in tanti a insistere per il definitivo azzeramento degli oppositori. I parlamentari continuano a remargli contro. La pace non sarà così semplice. Gli slogan potranno servire a recuperare consensi (forse) nelle aree del malcontento, però non offrono l’immagine di un partito solido e innovativo. L’impressione è che lo scontro resti aperto. Le elezioni generali sono lontane. Per ora il laburismo di Corbyn è un movimento di opposizione. Che si trasformi in un partito di governo è al momento uno scenario irrealizzabile.