Corriere 14.9.16
Tutta la verità sul caso Piegari, profeta gramsciano umiliato dal Pci
Il libro di Ermanno Rea ha come sottotitolo «Attualità di una vecchia sconfitta»
di Corrado Stajano
Proponiamo
l’articolo scritto da Corrado Stajano sul libro di Ermanno Rea, morto
nella notte del 13 settembre, «Il caso Piegari. Attualità di una vecchia
sconfitta» (Feltrinelli) pubblicato sul «Corriere della Sera» del 26
ottobre 2014
Nel suo gran libro, Mistero napoletano, Ermanno Rea
l’aveva lasciata volutamente nella penna, almeno in parte, la tragica
storia di Guido Piegari, uomo di genio, vittima dello stalinismo del Pci
degli anni Cinquanta. Ai tempi di quel romanzo-verità pubblicato nel
1995, vincitore l’anno seguente del Premio Viareggio, allora sotto la
guida di Cesare Garboli, Piegari era ancora vivo: morì nel 2007 e fu
l’umana pietà, il rispetto del dolore, a trattenere lo scrittore dal
raccontare compiutamente la vita di quell’uomo di alta qualità
intellettuale umiliato e offeso, espulso dal Pci di Togliatti pressato
da Giorgio Amendola.
Piegari aveva creato a Napoli il gruppo
Gramsci che di potere ne possedeva poco, ma di idee molte, dissonanti da
quelle del partito e le discuteva nell’affollata aula IV della facoltà
di Lettere dell’Università. Davano noia, o meglio erano considerate
eversive, pericolose, frazioniste perché contestavano la linea
amendoliana di stampo salveminiano che puntava soprattutto sull’alleanza
con le forze locali. Piegari e il suo gruppo, nemici di ogni
compromissione, nella patria di tutti i trasformismi, erano invece
fedeli alla lezione di Gramsci: la Questione meridionale è questione
nazionale fondata sulla saldatura tra la classe operaia del Nord e i
contadini e i sottoproletari del Sud. Fuori da quei principi si favoriva
soltanto la disunità d’Italia.
Com’è rispuntato nella mente e nel
cuore di Ermanno Rea il fantasma di Guido Piegari? È stata la scoperta
di un quaderno nero, con gli angoli e il dorso di tela rosso fiamma —
cinese? — ritrovato nella libreria di casa, pieno di appunti scritti al
tempo del suo famoso romanzo, a risvegliare passioni e anche tormenti. E
ne è nato un nuovo libro, una lucertola che riannoda la sua coda
spezzata: Il caso Piegari. Attualità di una vecchia sconfitta
(Feltrinelli). Il libro può anche esser letto come una lezione in quella
famosa aula IV: l’attualità cui accenna il sottotitolo è acclarata in
questo mezzo secolo e più trascorso da allora, dal localismo
compromissorio stalinista al migliorismo, alla compiaciuta attenzione
alle pratiche craxiane, alle larghe intese del berlusconismo di oggi.
Non fu una sconfitta, si può dire, quella del profetico gruppo Gramsci.
Chi
era Guido Piegari? Laureato in Medicina, biologo, stimato scienziato
dell’oncologia, uditore dell’Istituto di studi storici del Croce che
ammirava molto la sua intelligenza, marxista ventenne alla ricerca di
una nuova visione della Storia, tra l’Europa delle rivoluzioni
ottocentesche e del Romanticismo e il Risorgimento italiano. Il fascino
del personaggio, la sua capacità di proselitismo erano riconosciuti
nell’appassionata Napoli del secondo dopoguerra, avida di saperi, di
voglia di capire e di discutere, in misura persino maggiore alla
naturale vocazione al ragionamento dei napoletani.
Il lunedì sera,
in quegli anni, era sommo il fervore nel seguire all’Università le
varie relazioni: tra le tante, la Rivoluzione del 1799, l’Unità
politica, l’Italia del primo Novecento. I temi si incastravano l’uno
nell’altro, ma era il presente, sempre, a far da protagonista — la
contemporaneità — anche se gli argomenti parevano lontani.
L’autoritarismo, l’ansia di libertà, i sistemi usati dallo stalinismo
affioravano di continuo nell’evocare il passato. In quegli anni cupi
della Guerra fredda i nodi col Pci vennero rapidamente al pettine. Con
brutalità. Non fu neppure concessa una libera discussione coi
dissenzienti.
Rea racconta quel che allora accadde. Piegari non fu
solo espulso dal partito — evento che tacque nel Mistero napoletano —
fu insultato, ferito a morte. Commenta ora lo scrittore: «L’eretico va
delegittimato, calunniato, vilipeso. Soprattutto va dichiarato pazzo.
Piegari è pazzo, dissero infatti gli agit prop della potente macchina da
guerra ortodossa. E tanto dissero finché il povero Piegari sentì
effettivamente vacillare il proprio equilibrio, scoprendo gli incubi
della mania di persecuzione».
C’è un’altra storia dolorante nel
libro di Rea che provoca accoramento in chi legge. Quella di Gerardo
Marotta, il presidente dell’Istituto italiano per gli studi filosofici
che fu al fianco di Guido Piegari. Ermanno Rea descrive in belle pagine
il volto scavato, l’aria affranta, la grande malinconia dell’amico.
Avvocato amministrativista di grande talento e successo, finita
l’avventura del Gruppo Gramsci, ha dedicato la vita a creare una
biblioteca famosa in tutto il mondo di trecentomila volumi, una sorta di
ponte culturale con il mai dimenticato Gruppo Gramsci. Si è svenato
negli anni, l’avvocato Marotta, a comprar libri (dieci miliardi di lire,
secondo i più illustri biblioteconomi). Carlo Azeglio Ciampi, colto
presidente del Consiglio, destinò finanziamenti notevoli e necessari
all’Istituto, il governo Berlusconi li bloccò del tutto. I libri, che
nel Palazzo Serra di Cassano davano lustro e vanto a Napoli e all’intero
Paese, sono ora ammucchiati in un capannone di periferia.
È «una
tragedia antropologica» quella che si consuma sotto i nostri occhi,
scrive Ermanno Rea. Una vergogna nazionale, un simbolo dell’irrilevanza
della cultura, della memoria, della Storia spazzato via da una furia
iconoclasta.