Repubblica 16.7.16
Roma alla ricerca di un ruolo
di Stefano Folli
C’È
MOLTO di ripetitivo nel modo in cui le istituzioni e la politica
reagiscono agli attentati. In un certo senso è inevitabile: sono uguali
gli schemi dei terroristi, anche quando varia lo strumento tecnico usato
per spargere la morte e si dissolvono i responsabili, cioè i veri
organizzatori, nella stagione del terrore “molecolare”, privo in
apparenza di una rete davvero organizzata. Di conseguenza si
assomigliano le prime risposte, fra l’attonito e il manierato, e le
prime polemiche, anch’esse prevedibili.
Ma si deve pur riconoscere
che dopo Nizza è scemato il tasso di retorica un po’ ovunque in Europa e
in particolare in Italia. L’immediato incontro a Palazzo Chigi sulla
sicurezza ha dato un segno concreto; l’aver evitato, almeno finora, il
diluvio delle frasi fatte, utili solo a delineare il quadro
dell’impotenza, rappresenta un passo avanti. Renzi e il ministro
dell’Interno Alfano, i due nomi in prima linea, sembrano rendersi conto
che in un anno e mezzo, da Charlie Hebdo alla Promenade, il cordoglio, i
lumini, i mazzi di fiori, tutte le manifestazioni del dolore popolare
non bastano più. O meglio, non possono essere l’alibi dietro il quale si
cela l’inerzia delle classi dirigenti.
Questa volta si parla di meno
e si lavora con i servizi di sicurezza: si cerca di legare insieme la
ragnatela delle informazioni che per troppo tempo sono rimaste non
condivise. Ma la strada da percorrere è lunga e il tempo è poco. Fra un
attentato e l’altro l’intervallo tende a ridursi: prima era di anni, ora
è di mesi quando non di settimane. Il terrorismo sopravvive e anzi
sembra moltiplicarsi anche nell’ultima versione polverizzata e quasi
cellulare; la controffensiva degli Stati democratici richiede invece un
alto livello di organizzazione per essere efficace e nessuno, del resto,
può garantire che i cittadini saranno pienamente al sicuro.
Resta da
capire quale sia la strategia di lungo periodo. La debolezza delle
leadership europee nel loro complesso è evidente e non può essere curata
a breve. Il governo di Roma non ha ovviamente la forza per colmare il
vuoto politico, ma può contribuire ad accelerare il coordinamento dei
mezzi tecnici di difesa. Se poi il suo consenso parlamentare sarà
abbastanza solido, potrà parlare con maggiore energia nelle sedi
dell’Unione.
Sotto questo aspetto, la stabilità dell’esecutivo non
appare in discussione. S’intende, peraltro, che non è all’orizzonte
un’altra maggioranza, ossia un governo di unità nazionale. Per quanto
Brunetta, Forza Italia, abbia dichiarato che “siamo in guerra”, il che
sottintende una richiesta, appunto, di unità, non ci sarà niente di
simile almeno nei prossimi mesi. Ma ciò non significa che il Parlamento
non saprà essere convergente sulla politica anti-terrorismo, almeno
nelle grandi linee. È già accaduto in passato e accadrà di nuovo: sia
pure con eccezioni probabili o possibili, dalla Lega ai Cinquestelle, il
centrosinistra e il centrodestra sosterranno alcune scelte di fondo,
peraltro obbligate dalla cornice europea. Quanto più il ruolo italiano
vorrà identificarsi in una serie di impegni concreti per la sicurezza,
tanto più sarà largo il sostegno delle Camere.
Questo non significa
che tutte le domande troveranno risposta. Al momento non è chiaro
nemmeno se l’autista di Nizza sia uno psicopatico solitario,
marginalmente collegato con gli ambienti del radicalismo islamico, o sia
viceversa connesso per vie insondabili alla rete dell’Is. In secondo
luogo, si ripropone l’eterno dilemma del “che fare” con l’Islam in
Italia. In Francia il vice presidente della conferenza degli imam si è
dimesso per protestare verso un establishment islamico incapace di
spezzare i nessi con i circoli estremisti. E da noi? Ci si attende una
parola chiara da Alfano e prima ancora dai responsabili islamici troppo
spesso reticenti.
Infine resta da capire quale sia lo spazio politico
per un movimento di destra “lepenista”. Salvini sembra aver raggiunto
da tempo il suo limite elettorale e le elezioni amministrative per lui
non sono andate bene. Ma sta già tentando, in una chiave tutta domestica
e provinciale, di trarre vantaggio dai fatti di Nizza. Difficile
credere che possa rilanciare così le sue ambizioni di primato, tuttavia
nessuno può prevedere quali saranno gli equilibri in Europa fra qualche
mese. La Francia ferita, la Brexit, il referendum in Ungheria, le
elezioni ripetute in Austria e sullo sfondo il voto americano: ci
attendono passaggi cruciali.