Mercoledì 20 Luglio, 2016
Al confine tra il corpo e lo spirito
di Sebastiano Grasso
Per
la cura dei calcoli («mal de la pierre»), al povero Michel de Montaigne
(1533-1592) prescrivono un miscuglio composto da escrementi di topo
polverizzati, il piede sinistro bollito di tartaruga, urina di
lucertola, fegato di talpa e sangue cavato da sotto l’ala destra di un
piccione bianco.
Certo oggi vien da ridere. Mica tanto, però, se
si pensa che in Bulgaria, nel 1985 — solo tre decenni fa — ad Irina
Jalnazova, trentaseienne che cade dalla bicicletta e batte il capo, per
evitare un’emorragia cerebrale le fasciano la nuca con una gallina nera
(rarissima, trovata nell’entroterra di Varna), uccisa all’istante e
squartata.
Ma lo scrittore francese — che non ha la minima fiducia
in medici e speziali — analizza razionalmente la malattia, che
considera una sorta di innovazione del corpo: carne più spirito.
Annotando le sue considerazioni nei Saggi precisa: «L’argomento dei miei
libri sono io».
Da qui, la ricerca della conoscenza di se stesso,
attraverso il corpo, che — per un uomo del Rinascimento come lui —
diventa il «vissuto» e la memoria.
Pur non credendo nel potere
salvifico delle acque termali, Montaigne viaggia, fra il settembre del
1580 e il novembre del 1581, attraverso Alsazia, Svizzera, Tirolo per
arrivare in Italia dove visita Venezia, Ferrara (conosce il Tasso),
Bologna, Firenze, Siena, Roma, Pistoia e Bagni di Lucca (dove vi si
immerge). Itinerario, questo, documentato nel Journal du voyage en
Italie par la Suisse et l’Allemagne , pubblicato postumo (1774).
Il
corpo, l’amore, il sesso, giudizi e notazioni varie (autobiografiche,
letterarie, storiche) vengono adesso riproposti, con sguardo
caleidoscopico, da Carlo Montaleone, in due libri: Montaigne o la
profondità della carne (Mimesis, pp. 146, e 14) e l’antologia di saggi
Michel de Montaigne. L’etica dei piaceri (Feltrinelli, pp. 298, e 12).
Del secondo non si capisce il perché del titolo, ripreso parzialmente da
un capitolo dell’antologia ( Il corpo, la malattia, la pratica medica.
L’etica dei piaceri ). Fantasie editoriali.
Viene in mente il
celebre romanzo di Lorenzo Villalonga, Bearn (definito al suo apparire
«Il Gattopardo spagnolo»), uscito in Italia 30-40 anni fa dagli Editori
Riuniti come La casa delle bambole (sottotitolo). Si giocava
sull’equivoco che potesse trattarsi di una casa d’appuntamenti. In
realtà si parlava di una magione dove i protagonisti legavano i loro
ricordi a bambole di pezza di quand’erano ragazzi.
Ma torniamo a
Montaigne. Si può dedicare la propria vita allo studio di un autore? Al
liceo classico, a proposito di Dante, il mio professore di italiano
diceva che sì, era possibile; ma, aggiungeva con ironia, si trattava
sicuramente di gente che non aveva famiglia. Non è questo, però, il caso
di Carlo Montaleone, che la famiglia ce l’ha.
Da anni lo studioso
— che all’università Statale di Milano, a suo tempo, è succeduto a Remo
Cantoni — si dedica a Montaigne. Tutto comincia quando, ancora
studente, il suo docente di Storia della filosofia, Mario Dal Pra, gli
rifila una tesina sull’ Apologia di Raymond Sebond , uno dei Saggi più
interessanti e organici di Montaigne, il quale, dall’età di tre anni ha
un precettore che gli parla esclusivamente in latino.
L’autore di
quell’ essai , Montaleone non lo ha mai abbandonato. Partendo dal
filosofo e maestro di medicina catalano, vissuto dal 1385 al 1436
(docente di teologia a Tolosa), scandaglia il «signore di Montaigne» —
traduttore della Teologia naturale dello spagnolo — il quale, dopo la
fase politica, si ritira nel suo castello per «riposarsi sul seno delle
dotte Verginità» (le Muse) e tracciare l’autoritratto attraverso lo
scibile rinascimentale.