La Stampa 8.7.16
Stereotipi smentiti: gli stranieri non tolgono il lavoro agli italiani
di Linda Laura Sabbadini
Quando
ci sono periodi di crisi, la paura aumenta. Cresce tra i settori più
vulnerabili, tra quelli che si sentono più in pericolo. Paura di perdere
il lavoro, timore di non ritrovarlo dopo averlo perso. E’ proprio in
questi momenti critici, la storia ce lo ha dimostrato, ahimè, che la
paura del diverso si accentua ed è facile cadere nell’ottica della
ricerca del capro espiatorio. Ricerche condotte nel Regno Unito mostrano
quanto ciò abbia influito anche sulla vittoria di Brexit.
La
propaganda di diverse formazioni politiche si è particolarmente
soffermata su questi aspetti, gli immigrati sono un carico in più per il
nostro welfare, ci rubano il lavoro. Ma è proprio così nel nostro
Paese? Alcuni dati forniti dall’Inps e altri dall’Istat possono aiutarci
a capire. Tito Boeri, presidente dell’Inps, presentando alla Camera
l’interessante rapporto annuale ieri ha sottolineato che gli immigrati
in termini di contributi sociali versano di più di quanto ricevono in
pensioni. Infatti, versano 8 miliardi di contributi sociali in un anno e
ne ricevono 3 se si considerano sia pensioni sia altre prestazioni
sociali. Danno cioè al nostro Paese 5 miliardi di contributi netti.
Certamente questa è una fotografia del presente, quando ancora gli
immigrati che percepiscono la pensione sono pochi; un domani sarà
diverso, quando ci saranno più pensionati tra gli immigrati. Ma la
storia migratoria a livello internazionale ci insegna che in molti casi i
contributi previdenziali degli immigrati non si traducono poi in
pensioni, perché una parte di essi si spostano di Paese, oppure tornano
nel loro, e spesso non arrivano a percepire una pensione nel Paese in
cui hanno versato anni di contributi.
«Abbiamo calcolato che sin
qui gli immigrati ci abbiano “regalato” circa un punto di Pil di
contributi sociali a fronte dei quali non sono state loro erogate delle
pensioni. E ogni anno questi contributi a fondo perduto degli immigrati
valgono circa 300 milioni di euro» dice Tito Boeri.
Altri dati di
fonte Istat smentiscono un altro stereotipo. Non è vero che gli
immigrati rubano il lavoro agli italiani. Laddove calano gli occupati
italiani non aumentano i lavoratori stranieri. Per esempio, gli occupati
italiani nel corso della crisi sono diminuiti nell’industria,
commercio, pubblica amministrazione, istruzione e sanità. Gli occupati
stranieri sono aumentati nei servizi alle famiglie e negli alberghi e
ristorazione, cioè in settori totalmente diversi. In agricoltura calano
gli italiani e aumentano gli stranieri, ma i primi calano tra i
lavoratori autonomi e i secondi crescono tra i braccianti. Il che
significa che il nostro mercato del lavoro continua a mantenere un
carattere duale, con una forte e netta separazione tra professioni
italiane e straniere. In sintesi, non sono quindi gli immigrati la causa
della perdita di occupazione degli italiani o della loro difficoltà a
trovare lavoro. Tutto ciò non significa che ogni cosa vada bene. Ci sono
problemi di degrado in zone ad alta concentrazione di immigrati, ci
sono problemi di crescita di criminalità che vanno affrontati e risolti
nell’ottica dell’integrazione. Ma se smettessimo di crearci fantasmi e
affrontassimo le cause reali della disoccupazione che risiedono nella
crisi economica e nella rivoluzione che sta attraversando la società
globalizzata, faremmo già un bel passo in avanti.
Così come ne
faremmo un altro se riuscissimo a creare un modello virtuoso di
integrazione dei migranti, valorizzando anche le esperienze meravigliose
di solidarietà che esistono nel nostro Paese. Volenti o no le
migrazioni saranno un fenomeno rilevante dei nostri tempi. I nostri
nipoti ci ricorderanno con riconoscenza se troveranno persone di origine
diverse come pari e amici, colleghi e compagni di lavoro, piuttosto che
nemici astiosi e rancorosi rinchiusi in ghetti. Non mi posso
dimenticare la bellissima immagine che l’indagine dell’Istat dava,
richiamata dal Presidente della Repubblica nel discorso di fine anno: la
maggioranza dei bambini stranieri in Italia ha come migliore amico un
bambino italiano.