Il Sole 6.7.13
Roma e il referendum le due prove d’autunno e di governo dei 5 Stelle
di Lina Palmerini
Roma
e il referendum. Sono queste le due prove d’autunno per i 5 Stelle che
saranno in grado di condizionare l’intero quadro politico italiano. La
Capitale è il palcoscenico della loro capacità di governare ma sul
referendum il gioco è più ambiguo.
È evidente che non saranno i
costituzionalisti o gli intellettuali a determinare l’esito referendario
ma solo una spinta popolare che il Movimento – più di ogni altra forza -
può oggi cavalcare e motivare. La partita, però, potrebbe essere più
ambigua perché i 5 Stelle sono schierati formalmente sul “no” ma solo
una vittoria dei “sì” può avvicinarli a Palazzo Chigi. La ragione è
stata spiegata molte volte: senza la riforma della Costituzione e la
fine del bicameralismo cade anche l’Italicum che è quasi un’autostrada
verso Palazzo Chigi per i 5 Stelle. Per loro che non vogliono coalizione
e alleanze, è la legge elettorale perfetta perché prevede il premio di
maggioranza alla lista e un ballottaggio in cui potrebbero convergere
anche i voti populisti di destra come si è visto a Torino e a Roma.
Dunque, che faranno? Giocheranno per diventare forza di governo e quindi
aiuteranno il referendum a passare? I modi possono essere tanti. Ci può
essere una campagna silenziosa sul no, non cavalcata e caricata. O
perfino un cambio di rotta – però – più improbabile.
E qui diventa
interessante capire come le lotte interne dei 5 Stelle condizioneranno
questo confronto, se cioè prevarrà la voglia di arrivare al Governo con
Di Maio in pole position o se prevarranno i suoi antagonisti e quindi la
campagna per il no. Non si tratta di questioni secondarie. Le lotte
intestine del Movimento sono apparse per la prima volta in tutta la loro
evidenza in questi giorni di preparazione della giunta capitolina in
cui i grillini stanno mostrando il loro volto “normale”. Si vedono i
fronti contrapposti, le diverse tifoserie, le ambizioni di ciascuno:
tutto questo prima era celato dalla figura carismatica di Casaleggio,
dai meccanismi della rete e da Grillo ma ora viene allo scoperto. Questa
nuova normalità condizionerà anche la strategia per orientare i voti al
referendum su cui non tutti la pensano allo stesso modo e su cui –
soprattutto – si scateneranno gli oppositori di Luigi Di Maio che oggi è
il leader in pectore del Movimento e il più papabile per Palazzo Chigi.
E quindi colui che avrebbe più vantaggi dal combinato disposto della
vittoria del referendum e della permanenza dell’Italicum.
Per
questa ragione la mossa di Dario Franceschini è un azzardo. Lui apre le
manovre per cambiare la legge elettorale ma queste azzereranno la
dialettica interna dei grillini e li caricheranno senza dubbi sul “no”
al referendum. Senza l’Italicum – infatti - viene a mancare l’unico loro
vantaggio politico dalla riforma costituzionale. Cambiare la legge
insomma significa certamente trovarsi contro la forza d’urto del
Movimento alle urne di ottobre. E che il loro interesse sia l’Italicum
si è visto nel botta e risposta con Renzi di alcuni giorni fa quando
alla notizia di un’apertura alle modifiche è partito un fuoco di fila
grillino contro il leader Pd. Hanno litigato con Renzi ma in realtà
hanno fatto da sponda alla blindatura della legge.
Insomma i
cambiamenti all’Italicum peserebbero come una zavorra nella campagna
referendaria. Sarà un argomento di Grillo per dire che vogliono impedire
la loro vittoria. E soprattutto risulterà impopolare sapere che la vera
convenienza dai cambiamenti l’avranno quei piccoli partiti - da Alfano a
Verdini - che sono quelli più investiti da inchieste giudiziarie.