Il Sole 12.7.16
Theresa May incoronata premier in anticipo
La rivale Leadsom abbandona la corsa per la leadership dei Tories, domani l’insediamento
di Leonardo Maisano
LONDRA
«Mercoledì sera in quell’edificio alle mie spalle ci sarà un nuovo
primo ministro»”. David Cameron indica il numero 10 di Downing Street
dove Theresa May, 59 anni ministra degli Interni, s’accomoderà domani
sera. Al termine di un’altra giornata epica nella vita politica del
Regno di Elisabetta il partito conservatore con la spietatezza che lo
contraddistingue ha deciso che il sangue doveva cessare di scorrere.
Un’accelerazione del tutto imprevista degli eventi ha indotto Andrea
Leadsom a rinunciare alla corsa per la leadership del partito e del
Paese, lasciando Theresa May a battersi da sola per una poltrona che ha
conquistato con nove settimane di anticipo.
«Visto lo schieramento
dei deputati in Parlamento – ha detto la leader del fronte Leave – e di
fronte alla prospettiva di un altro periodo di incertezza...ho deciso
di ritirare la mia candidatura alla guida dei Tory». Per il bene del
Paese e del partito, naturalmente. In realtà la spinta dei notabili Tory
sia di Remain sia di Leave ha indotto Andrea Leadsom a lasciare la
partita dalla quale, peraltro, si era già messa ai margini con
l’infelice battuta sulla sua presunta adeguatezza a fare il premier in
quanto madre, a differenza di Theresa May.
Uscita lei di scena
restavano solo da sbrigare pratiche burocratiche per annunciare l’arrivo
della favorita di sempre al soglio più elevato della politica
britannica. C’è voluta qualche ora poi Theresa May è apparsa davanti a
Westminster. «Brexit è Brexit –ha detto pur essendo stato debole fan di
Remain - e noi ne faremo un successo. Lo dico nel momento in cui accolgo
con onore e con umiltà l’incarico per realizzare una politica che non
agisca solo nell’interesse dei pochi privilegiati, ma in quello di tutti
noi». Un richiamo a quel conservatorismo ad alto tasso sociale che è
assai più nella tradizione del paternalismo di Harold Mac Millan che non
nel liberismo thatcheriano. Una via che Theresa May non intende
perseguire pur essendo spesso associata alla figura di Margaret Thatcher
e non solo perchè donna.
Che questa fosse destinata a diventare
la cifra della sua linea d’azione era già apparso evidente in questi
giorni di campagna referendaria dove la signora prossima premier aveva
ribadito di voler mettere il partito «al servizio dei lavoratori che
dovranno essere rappresentati nei consigli di amministrazione». Un
passaggio rafforzato dalla volontà di mettere acciaio nella norma
cosiddetta “say on pay” che dà agli azionisti diritto di censurare le
retribuzioni dei managers. Per Theresa May non dovrà trattarsi di una
semplice critica sul filo di considerazioni etiche, ma dovrà tradursi
nel conferire agli shareholders il potere di cancellare remunerazioni
considerate fuori luogo. E l’altolà è andato anche alle imprese. «Sì –
aveva dichiarato nei giorni scorsi – siamo il partito conservatore e
siamo il partito dell’imprenditoria, ma questo non significa che siamo
pronti ad accettare ogni cosa».
La forma e la sostanza di quanto
la prossima primo ministro di Gran Bretagna suggerisce guarda a fasce
precise dell’elettorato britannico, ai ceti meno abbienti del nord del
Paese che vivono con disagio l’opulenza di Londra, idrovora che tutto
assorbe e tutto macina producendo quasi un terzo del pil nazionale.
Brexit ha vinto nel settentrione della Gran Bretagna dove il Labour
party non sa più rappresentare le esigenze di elettori in fuga verso
l'Ukip. A loro si rivolge Theresa May, ma a quello stesso bacino
elettorale guarda anche Angela Eagle, la deputata del Labour e ministro
ombra per l’Industria che ha sfidato Jeremy Corbyn per la leadership del
partito. Risolto lo scontro in senso al Tory Party, Londra, mette
infatti in scena la battaglia per guidare l’opposizione laburista senza
più un leader credibile dopo l’addio di tutta la prima linea del new
Labour, travolto dal crollo di popolarità e credibilità di Tony Blair.