Il Sole 12.7.16
Rapporti di vicinato. Il reato si consuma anche nel «tormento» dato a estranei
Sullo stalking basta l’accusa della persona perseguitata
Determinante la valutazione del giudice sulla credibilità
di Giuseppe Donato Nuzzo
Commette
il reato di stalking chi esaspera i vicini tanto da provocare in loro
gravi stati d’ansia e costringerli a cambiare abitudini di vita,
assentandosi dal lavoro e assumendo tranquillanti. Un avvertimento a
tutti i disturbatori professionali che viene dalla Cassazione (sentenza
26878/2016, depositata il 28 giugno 2016). La pronuncia conferma
l’applicabilità dell’articolo 612-bis del Codice penale nei rapporti di
vicinato e, in particolar modo, in quelli tra condòmini. Si parla di
“stalking condominiale”, che si verifica tutte le volte in cui il
condòmino molesta e perseguita i vicini di casa con una serie di azioni
dirette a:
ingenerare in loro un fondato timore per l’incolumità propria o di un familiare;
costringere la vittima a cambiare le proprie abitudini.
I
giudici della Cassazione hanno così confermato le accuse di stalking
contro l’imputato, anche se fondate sulle dichiarazioni della persona
offesa, in linea con quanto affermato dalle Sezioni unite, secondo cui
le dichiarazioni della persona offesa «possono essere legittimamente
poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità
dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della
credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca
del suo racconto».
Il caso
Detto in altri termini: la
condanna per stalking può scattare anche in base alle sole accuse mosse
dal soggetto perseguitato, se valutate dal giudice credibili ed
attendibili. Circostanza che si è verificata in questo caso: le accuse
esposte dalla persona offesa nelle numerose denunce querele hanno
trovato ampi riscontri oggettivi. Hanno trovato conferma, in
particolare, le conseguenze dei comportamenti persecutòri sulla
condizione di vita della persona offesa, costretta ad assentarsi dal
lavoro ed assumere tranquillanti; eventi, quest’ultimi, che dimostrano,
secondo la suprema Corte, un mutamento delle abitudini di vita e
l’insorgere di un grave stato d’ansia nella vittima.
Tali
conclusioni, peraltro, sono coerenti con precedenti asentenze in
materia, secondo cui «la prova dell’evento del delitto in riferimento
alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato
d’ansia o di paura deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale
turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa
vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta
posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto
la sua astratta idoneità a causare l’evento quanto il suo profilo
concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in
cui è stata consumata» (Cassazione, sentenza 14391/2012).
Il Codice
Previsto
dall’articolo 612 bis del Codice penale (introdotto dalla legge
11/2009), il reato di atti persecutori (meglio noto come stalking). Gli
elementi caratterizzanti dello stalking sono la reiterazione delle
azioni criminose e la loro incidenza negativa nella vita delle persone
che ne sono vittima. L’obiettivo del legislatore è quello di tutelare
quei soggetti che, subendo continue vessazioni, sono costrette a
modificare la loro stessa vita che altrimenti diviene insopportabile.
Il
termine stalking viene spesso associato a comportamenti che attengono
alla sfera affettiva. Tuttavia, se è vero che le vittime sono quasi
sempre partner e soprattutto ex, in particolar modo donne. è anche vero
che il delitto in esame ben può configurarsi al di fuori di una
relazione sentimentale. È infatti sufficiente il compimento di più atti
molesti o minatori che ledano l’altrui sfera psico-affettiva o inducano
la vittima a mutare stile di vita In quest’ottica si colloca il
cosiddetto “stalking condominiale”, ormai divenuto una realtà, come
dimostra anche la sentenza in commento. La possibilità di querelare il
vicino di casa molesto e assillante non si limita al singolo atto, ma si
estende anche alla valutazione del complessivo comportamento da questi
reiterato nel tempo. Sicuramente non basta una singola azione; ma in
passato anche due semplici episodi sono stati ritenuti sufficienti dalla
giurisprudenza a far scattare l’incriminazione del reo. Ciò che conta è
la gravità dei comportamenti che, nel caso del condòmino, devono essere
tali da riuscire ad esasperare il vicino perseguitato, tanto da
portarlo a modificare le sue abitudini di vita.