il manifesto 8.7.16
Referendum, due milioni di firme contro la «Buona Scuola»
Movimenti.
Due milioni di firme, 515 mila per ciascuno dei quattro quesiti ai
quali il «comitato Referendario Scuola Pubblica» ha consegnato la
speranza di abrogare i pilastri della riforma più odiata del governo
Renzi, dopo il Jobs Act.
Due milioni di firme, 515 mila
per ciascuno dei quattro quesiti ai quali il «comitato Referendario
Scuola Pubblica» ha consegnato la speranza di abrogare i pilastri della
riforma più odiata del governo Renzi, dopo il Jobs Act. Sono state
consegnate ieri in Cassazione, dopo un rinvio di due giorni rispetto
alla data stabilita, il 5 luglio. «È slittata per il previsto imminente
arrivo di numerosi altri moduli, grazie ai quali il numero complessivo
di firme ha superato i 2 milioni – spiegano dal comitato – Andare oltre
sarebbe stato controproducente perché le eventuali nuove firme non
avrebbero minimamente compensato le tantissime raccolte su moduli
vidimati nei primi giorni della campagna. Come è noto infatti, i moduli
vidimati per la raccolta hanno validità tre mesi».
Il percorso di
questa raccolta firme è stato in effetti lungo e laborioso. Dopo tre
mesi dedicati alla raccolta i promotori si dicono soddisfatti: «è stato
un ottimo lavoro – dicono – nei banchetti, nei luoghi di lavoro e nelle
sedi dei sindacati e dei comitati, riscontrato in questi giorni di
controllo e inscatolamento, nonostante le enormi difficoltà riscontrate,
fa ben sperare per l’esito finale di questa campagna». Con il parere
positivo delle autorità competenti si dovrebbe andare al voto nella
primavera del 2017. Ma ci si prepara anche a scenari diversi: tutto
dipende dall’esito del referendum costituzionale previsto ad ottobre
(forse). L’«armageddon» chiamato, incautamente, da Matteo Renzi – un
plebiscito sulla sua persona – potrebbe cambiare la tempistica. Oppure
confermarla.
Abolizione dello «school bonus», dell’alternanza
scuola-lavoro, del preside-manager e della valutazione del merito:
questi i quesiti promossi dai sindacati Flc-Cgil, Cobas, Gilda,
Unicobas, Sgb e Cub; studenti (Uds, Link) e associazioni (Lip scuola,
Retescuole), tra gli altri.
Procede intanto il cammino della
riforma ribattezzata «Cattiva Scuola». Ieri la novità: il governo,
insieme ai sindacati confederali, sembra avere eliminato uno dei tratti
più contestati della legge 107: la chiamata diretta del docente
neo-assunto da parte del «preside manager». Saranno le scuole stesse ad
individuare, fra i docenti presenti nel loro ambito territoriale, quelli
più adatti, per profilo professionale, al loro progetto formativo. Per i
sindacati significa che i docenti non vedranno «assegnarsi dall’alto il
posto in base a meccanismi burocratici e non saranno scelti in modo
arbitrario». Per un altro sindacato, l’Anief, «i docenti che si
ritroveranno negli ambiti territoriali, perderanno in ogni caso la
titolarità su scuola. Perché se è vero che non verranno più scelti, come
sembra, in modo del tutto arbitrario dal dirigente scolastico, questo
comunque avrà sempre facoltà di convocarli. E, a seconda dell’esito del
colloquio, potrà capovolgere il punteggio derivante dai titoli
presentati dagli stessi docenti attraverso il sistema Istanze on line».
La distinzione è davvero sottile e tutta da interpretare, anche rispetto
al referendum abrogativo.
Sono previste due procedure: una per i
docenti già in cattedra che hanno chiesto la mobilità e che entro il 31
agosto prossimo dovranno conoscere la loro sede di destinazione. La
seconda, da chiudere entro il 15 settembre, per i docenti che saranno
immessi in ruolo quest’anno.