giovedì 14 luglio 2016

il manifesto 14.7.16
La guerra civile vista da Barcellona
Scaffale. «Non piangere» di Lydie Salvayre per L’Asino d’oro edizioni. Un avvincente romanzo di formazione. E sabato Alias sarà dedicato alla guerra civile spagnola
di Niccolò Nisivoccia

È tutto vero quello che racconta la scrittrice francese Lydie Salvayre nel suo recente, meraviglioso Non piangere (L’Asino d’oro edizioni, pp. 235, euro 17). È la storia di sua madre Montse, che la racconta in prima persona e in soggettiva; ma non la storia di una vita, della quale non ci viene detto niente o quasi, bensì di una sola estate e di quanto l’aveva preceduta e di poco la seguì.
È l’estate del 1936, fra il piccolo paese spagnolo nel quale Montse viveva e Barcellona; sono i mesi in cui scoppiava la guerra civile ma anche di una giovinezza assoluta, nei quali la vita le si rivelò nella sua potenza di bellezza – nell’esplosione dei sensi, nella scoperta della libertà e dell’amore, nella promessa del futuro – e tutto le sembrò possibile. È dunque in primo luogo una storia intima, Non piangere, ma la guerra che nel frattempo divampa fa sentire i suoi effetti anche nell’esistenza di Montse ed è per questo sempre presente, nel succedersi e poi nel precipitare degli eventi, nel tradimento delle promesse. E proprio qui, nel perfetto equilibrio fra la dimensione intima e la dimensione pubblica e politica delle cose, risiede una delle meraviglie del libro (che da questo punto di vista, ma non solo, ha dei tratti in comune con un altro capolavoro quale La piazza del Diamante di Mercè Rodoreda, che a sua volta intreccia la guerra civile spagnola con un’esistenza femminile).
Montse, che nel ’36 aveva quindici anni, quando racconta ne ha più di novanta, è immobilizzata su una sedia a rotelle, soffre di disturbi alla memoria e della sua vita non ricorda altro se non quell’estate, ma perfino nei dettagli. Forse l’oblio di tutto il resto è causato dai suoi disturbi o forse, come sua figlia Lydie è propensa a credere, dipende dal fatto che niente di quanto successo nei settant’anni successivi, vissuti in Francia dopo la vittoria di Franco e la fuga dalla Spagna, ha più realmente contato, o ha contato altrettanto: forse neppure la nascita della stessa Lydie. Mai come allora Montse «ebbe l’impressione di esistere appieno e in armonia con il mondo»; il resto della sua vita sarebbe proseguito «all’ombra» di quei giorni, nei quali Montse capì una volta per sempre «cosa significava vivere». Tutto ciò, spiega Lydie Salvayre, meritava di essere testimoniato, e prima ancora di essere «messo al sicuro, perché i libri servono anche a questo».
Ruotando intorno a pochi mesi, anche i protagonisti di Non piangere sono pochi e quasi tutti racchiusi fra due famiglie – quella povera e contadina di Montse, soprattutto il fratello José, e quella nobile e ricca di Diego – dentro le quali scorrono tutte le contrapposizioni possibili: il nazionalismo e il cattolicesimo dogmatico da una parte, espresso dai vescovi che avevano manifestato la adesione a Franco e ne avevano appoggiato o giustificato la violenza o avevano solo finto di non vederla, l’anarchia libertaria da un’altra parte, il comunismo da un’altra parte ancora.
Le uniche due significative presenze ulteriori sono il giovane André e Georges Bernanos: l’uno comunque interno alla storia, l’altro invece estraneo al suo svolgimento.
L’uno, André, è il francese che Montse incontra durante i suoi giorni di bellezza a Barcellona, dove aveva seguito il fratello José che voleva impegnarsi personalmente nella guerra: se ne innamora in una sera, ne rimane incinta e non lo rivedrà mai più, ma non smetterà mai di pensare a lui (e sposare Diego sarà l’unico rimedio contro lo scandalo della gravidanza). L’altro, Bernanos, è il grande scrittore cattolico che, rifiutando di adeguarsi alla linea ufficiale dell’istituzione cui apparteneva, sui fatti di Spagna aveva tenuto gli occhi aperti e vigili, denunciandoli nel suo I grandi cimiteri sotto la luna. In Bernanos, Lydie Salvayre individua il proprio riferimento e il proprio interlocutore, la cui voce si affianca a quella della madre: una specie di altro da sé, di coscienza esterna, ma al contempo parte costitutiva del suo parlamento interiore.
Infine, Non piangere è una meraviglia anche nel suo non indulgere mai in psicologismi e sentimentalismi (nonostante Lydie Salvayre sia psichiatra di professione, o forse grazie a questo), lasciando piuttosto che sentimenti e psicologia emergano da soli, dal nudo scorrere del racconto; e nella sua scrittura, che è spuria, perché Montse mischia continuamente francese e spagnolo, e musicale come una canzone o una poesia (e bisogna darne naturalmente merito anche alle traduttrici, Lorenza Di Lella e Francesca Scala). La stessa Montse, più di una volta, dichiara di non sapere come altrimenti chiamare quel «lampo di luce» vissuto nell’estate del ’36 se non appunto così: come una «poesia».