il manifesto 13.7.16
Il governo Netanyahu lega le mani alle Ong di sinistra
Israele.
La Knesset ha approvato la "Legge per la trasparenza" che di fatto
colpisce solo le organizzazioni progressiste che ricevono finanziamenti
dall'Ue e da istituzioni straniere
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Promossa dalla instancabile ministra della giustizia Ayelet Shaked e
sostenuta dal premier Netanyahu, da lunedì sera la “legge delle Ong”,
nota anche come “Legge per la trasparenza”, è parte del codice
israeliano. Dopo mesi di discussioni l’esecutivo di destra ha ottenuto
quanto voleva: le Ong finanziate in prevalenza dall’estero a partire dal
2017 dovranno precisare l’origine e l’entità delle donazioni ricevute.
Dovranno inoltre riportare tali donazioni nelle loro pubblicazioni e
nelle comunicazioni con funzionari dello Stato. Se non lo faranno
saranno multate. L’obiettivo, spiega Netanyahu, è quello di evitare una
situazione «assurda» in cui, a suo dire, alcuni Stati esteri
interferiscono negli affari interni del Paese grazie alle Ong ed
associazioni israeliane che finanziano.
La legge non fa
riferimento esplicito alla sinistra. Ma, di fatto, prende di mira oltre
venti Ong e associazioni, tutte progressiste, che si occupano di diritti
umani, in particolare nei Territori palestinesi occupati, che assistono
migranti e rifugiati o che promuovono l’uguaglianza tra ebrei e arabi.
Parliamo di organizzazioni storiche come B’Tselem, Acri, Breaking the
Silence, Peace Now, Hamoked, Hotline for Refugees and Migrants. Ong che
ricevono fondi soprattutto dall’estero, spesso grazie a linee di
finanziamento dell’Unione europea nel settore dei diritti umani. Quelle
di destra, vicine ai partiti di governo, che appoggiano la
colonizzazione e l’occupazione, invece non saranno toccate dal «bisogno
di trasparenza», per la semplice ragione che ottengono gran parte dei
loro finanziamenti da istituzioni private. Le finalità della nuova legge
sono talmente evidenti che persino il moderato leader laburista Isaac
Herzog parla «di germogli del fascismo che fiorisce in Israele». Il capo
della Lista unita araba, Ayman Odeh, ha accusato il governo Netanyahu
di voler «intimidire ed eliminare le poche organizzazioni che agiscono e
combattono nella sfera pubblica per garantire l’uguaglianza ai
cittadini arabi». La legge, aggiunge da parte sua Peace Now, mira a
«delegittimare le organizzazioni di sinistra, mentre gruppi filo-coloni
ricevono milioni di dollari senza alcuna trasparenza». Per Human Rights
Watch «se il governo di Israele è davvero preoccupato per la trasparenza
dovrebbe informare il pubblico delle fonti di finanziamento di tutte le
Ong e non solo di quelle che criticano le politiche dell’esecutivo».
Proteste
arrivano anche dall’estero, in particolare dall’Unione europea più
volte chiamata in causa dalla destra israeliana durante il lungo
dibattito che ha portato all’approvazione della legge. L’Ue dice di
comprendere «la necessità legittima di trasparenza» ed esalta quella che
definisce la «vibrante democrazia» israeliana. Allo stesso tempo
sottolinea che la legge limiterà le attività di molte Ong. Secca la
replica ai microfoni della radio delle Forze Armate della ministra
Shaked che ha escluso vi sia un intento di discriminazione politica e ha
accusato le Ong finanziate dall’estero di «denigrare l’esercito». «Ad
ogni buon conto – ha concluso la ministra – non intendiamo abbassare la
testa di fronte ai comunicati dell’Unione europea». A destra i commenti
all’approvazione della nuova legge sono tutti positivi. Il passo,
spiegano le organizzazioni più estremiste, colpirà chi «lavora per le
forze straniere» che utilizzano le informazioni e i rapporti delle Ong
di sinistra per attaccare Israele all’Onu e in altre sedi
internazionali. Il riferimento è a B’Tselem, il più noto dei centri
israeliani per i diritti umani, e a Breaking the Silence che raccoglie
testimonianze di militari su crimini di guerra e abusi compiuti nei
Territori occupati.
Ieri intanto centinaia di coloni, attivisti e
politici della destra radicale hanno «visitato» la Spianata delle
moschee di Gerusalemme, che per gli ebrei corrisponde al biblico Monte
del Tempio, uno dei siti a più alta tensione politica e religiosa. Tra i
«turisti», come li descrive di solito il governo Netanyahu, erano
presenti i genitori di Hallel Yaffa Ariel, la ragazzina ebrea
accoltellata e uccisa circa due settimane fa da un palestinese nella sua
abitazione nella colonia di Kiryat Arba (Hebron). «Il cuore di nostra
figlia è stato accoltellato. Stiamo rafforzando il cuore della
nazione…Questo è il cuore della nazione» ha detto Rina Ariel, la madre
della ragazza uccisa, in riferimento al movimento dei coloni che vivono
nei Territori palestinesi occupati. Sempre ieri un giovane arabo
israeliano, forse un beduino, è entrato a Gaza all’altezza della città
di Khan Yunes. Si tratta del terzo caso del genere negli ultimi due
anni. In precedenza un ebreo di origine etiope e un altro beduino sono
entrati di propria volontà a Gaza. Per restituirli Hamas chiede a
Israele di liberare centinaia di detenuti politici palestinesi.