Corriere 12.7.16
Ritradurre i classici: il caso Kafka
La nuova edizione della Lettera al padre di Franz Kafka
di Claudio Magris
I
grandi capolavori devono essere tradotti pressoché a ogni generazione,
perché contengono delle potenzialità nascoste, che la Storia via via
estrae dal loro nucleo e dalla loro forma; contengono delle risposte
brucianti a domande dell’epoca non ancora esplicitamente formulate e che
essi esprimono con una forza che investe i lettori e continua a
investire le generazioni che si succedono nel tempo.
Nessuna
traduzione, anche eccellente, di una grande opera è definitiva; per
questo è stato ad esempio necessario che Renata Colorni ritraducesse di
recente La montagna magica di Thomas Mann o che vi siano diverse
traduzioni di Moby Dick , nonostante la geniale versione di Cesare
Pavese. È quanto ha fatto ora, con risultati eccellenti, Nicoletta
Giacon con un altro capolavoro, la Lettera al padre di Franz Kafka.
Nicoletta Giacon è un’agguerrita e valente germanista, perfettamente di
casa — fatto non molto frequente — nel tedesco come nell’italiano.
Formatasi all’Università di Padova sotto la guida di Emilio Bonfatti, il
più grande critico della letteratura barocca tedesca, è una profonda
conoscitrice della Germania, in cui ha vissuto e lavorato a lungo.
La
Lettera al padre è uno dei grandi testi del Novecento, che, come ogni
grande testo, sfonda i confini della pur altissima letteratura per
investire i fondamentali nodi dell’esistenza umana e storica. In questo
caso, ovviamente ma certo non soltanto, il rapporto tra padri e figli,
tema centrale e forse fin troppo sbandierato e volgarizzato sulla scia
di superficiali letture ideologiche di Sigmund Freud, non imparziali
riguardo ai due contendenti, ognuno invece dei quali — e non solo, come
si tende a dire, il figlio — ha i suoi grovigli e le sue pene.
Grande
letteratura aldilà della letteratura, odissea nei meandri oscuri e
dolorosi della condizione umana. Troppo spesso si è letto questo testo
immortale come se in esso esistesse solo Franz Kafka e non anche
l’altro, Hermann Kafka, il padre. E troppo spesso si legge la Lettera al
padre come si leggono ad esempio la Metamorfosi o Il Verdetto , i
grandi racconti, dimenticando che essa è almeno anche una vera lettera,
il cui interlocutore, a differenza dai romanzi, dai racconti e forse
anche dai diari, non è — o almeno non è in primo luogo — il lettore
sconosciuto, ma un destinatario preciso, il signor Hermann Kafka, il
padre.
Nicoletta Giacon riesce a far sentire tutto questo sia
nella felicissima versione — che rende splendidamente l’ambiguità di
questo capolavoro ibrido, l’intreccio di universalità e di umano-troppo
umano, strazianti e anche penosi panni di famiglia. È la traduzione, la
ricreazione-trasformazione della lingua che permette di penetrare a
fondo, di fare un passo ulteriore nella conoscenza di questo capolavoro
universale e ambiguo, così come l’introduzione, filologicamente precisa e
narrativamente fluida, permette di ricostruire la genesi di questo
singolarissimo testo e di spingersi più a fondo nella sua cristallina
chiarezza e nelle sue tortuosità, tanto adulterate da troppi interpreti
che ne hanno fatto quasi uno slogan standardizzato. Padri e figli — così
spesso entrambi derelitti e sopraffatti, quando si affacciano, per
rubare un’espressione alla curatrice di questo unicum della letteratura
mondiale, «alla finestra del mondo».