mercoledì 6 luglio 2016

Avvenire.it 06.07.16
Amleto, sorprendente inspiegabile
di Alessandro Zuccari

Contraddittorio, inspiegabile, non di rado intrattabile: il principe di Danimarca ci assomiglia davvero molto. «Sì, Amleto è uno di noi», ammette il critico Piero Boitani, autorità riconosciuta negli studi shakespeariani. Professore di letteratura comparata alla Sapienza, il critico è autore di saggi spesso incentrati sul sottile legame fra visione poetica ed esperienza spirituale. Esemplare, per restare in tema, il suo Il Vangelo secondo Shakespeare (il Mulino, 2009), una ricerca sulle tracce di cristianesimo che affiorano, in modo più o meno velato, nelle opere del Bardo. Al Meeting di Rimini Boitani dialogherà con il poeta Davide Rondoni su "Il senso dell'altro in Amleto" (domenica 21 agosto, ore 19, Sala Poste Italiane A4): un appuntamento che cade nel quarto centenario della morte di Shakespeare e che promette di indagare un aspetto solitamente trascurato di quello che Boitani stesso definisce «il maledettissimo play». Contraddittorio, appunto. E per questo tanto più affascinante.
Scusi, professore, ma il principe non è un individualista solitario?
«Solo in apparenza, esattamente come ciascuno di noi. In realtà in ogni momento del dramma il protagonista sta in rapporto con qualcun altro, secondo una logica assai complessa di contrapposizioni e alleanze. Fondamentale, per lo svolgimento della trama, è l'inimicizia con lo zio Claudio, usurpatore del trono che in effetti spetterebbe allo stesso Amleto. E poi c'è la relazione, tormentata fino alla cupezza, con la madre Gertrude, che diventa il bersaglio di accuse sempre più pesanti e a tratti eccessive».
Amleto non sta difendendo la memoria del padre?
«La questione è più complicata. Al padre o, meglio, al fantasma del padre Amleto crede e non crede, ha il timore di essere ingannato da un'apparizione che, per quanto ne sa, potrebbe essere di natura diabolica. Anche il celebre espediente della rappresentazione teatrale inserita nel dramma è, in fondo, un modo per prendere le distanze dallo spettro, cercando nel frattempo di saggiarne la reale consistenza. Il punto è che Amleto non è a suo agio col padre, così come non lo è con la madre. Eppure lui, che è tanto abile nell'analizzare i comportamenti e i sentimenti altrui, non si sofferma mai su se stesso, non si fa carico della difficoltà di relazione con i genitori. Il fantasma potrebbe essere una proiezione della sua mente, ma questo dubbio non lo sfiora mai».
Un'altra incoerenza?
«Incoerente, a ben vedere, è tutto il dramma. Nella prima parte, per esempio, Amleto è in preda a un sentimento malinconico che sconfina nella pazzia: forse simulata, forse vera. Questa è, del resto, la sezione del play in cui lo spettro del padre è presente con maggior insistenza. La cesura con quel che segue è molto brusca. Al ritorno dal misterioso viaggio durante il quale sostiene di essere stato fatto prigioniero dai pirati, il principe è del tutto cambiato. Riconosce l'ordine divino nascosto in ogni cosa, arriva a commuoversi per la "speciale provvidenza" che si manifesta perfino nella morte di un passero. Non ci sono elementi che aiutino a comprendere questa trasformazione. Amleto è stato in pericolo di vita, certo, e questo potrebbe aver contribuito a fargli cambiare prospettiva. Il risultato non è però meno sorprendente».
In che senso?
«Prendiamo un'altra relazione decisiva, quella con Ofelia. Nella prima parte Amleto l'ha maltrattata in maniera plateale quanto ingiusta, autorizzandoci a sospettare che la follia della ragazza sia, almeno in parte, una conseguenza degli affronti subìti. Ma nella seconda parte, durante la cruciale scena del cimitero, un irriconoscibile Amleto si precipita nella fossa nella quale Ofelia sta per essere sepolta, dichiarando finalmente di amarla».
Può essere un principio di pentimento?
«Amleto è, sotto molti punti di vista, l'inizio di qualcosa. Anche sotto il profilo religioso qui si intuisce, ancora lontana, quella luce di speranza che Shakespeare lascerà risplendere nei drammi romanzeschi della piena maturità, come Il racconto d'inverno e La tempesta. Al tema, già accennato, della provvidenza, si affianca un desiderio di salvezza che nel finale di Amleto si impone con un'urgenza che sfiora l'irragionevolezza. Anche in questo caso c'è un rapporto di cui tenere conto, quello con l'amico Orazio. Insieme lui e Amleto hanno studiato all'università di Wittenberg e le loro conversazioni denotano la familiarità con categorie filosofiche e teologiche. Quando arriva la resa dei conti, Orazio è perfettamente consapevole che Amleto è colpevole di più di un'uccisione: il vecchio Polonio, re Claudio, il duellante Laerte sono tutti morti, in qualche maniera, per mano sua. Con quali argomenti, dunque, Orazio può augurarsi che il "dolce principe" sia accompagnato al riposo eterno da "canti e voli d'angeli"?».
Lei quale risposta si è dato?
«Shakespeare, almeno in questa circostanza, non appare molto incline a sciogliere l'enigma. Probabilmente le ultime parole di Amleto, "il resto è silenzio", sono da prendere alla lettera. Nella sua vicenda, come in quella di ogni essere umano, c'è sempre un nucleo che rimane irriducibile a ogni spiegazione».