Avvenire.it 08.07.16
Aquileia
Quando Tori e Leoni agitavano le acque del Mediterraneo
di Alessandro Beltrami
Difficile
trovare un simbolo altrettanto duraturo e diffuso – al punto da essere
pressoché universale – come il leone. Meriterebbe un'intera mostra
apposita per la sua capacità di essere dimostrazione vivente della
permanenza dei simboli. Il leone è passato da cultura a cultura
incarnando intatti i valori della forza e della regalità. È una
tradizione che ha origine in Egitto e passa presto in area mesopotamica e
iranica, per poi dilagare. Si può ricostruire un piccolo ma
significativo tassello visitando la mostra Leoni e Tori dall'antica
Persia ad Aquileia, organizzata dalla Fondazione Aquileia, che da alcuni
anni si occupa della valorizzazione dell'importante sito friulano, e
allestita nel Museo archeologico nazionale. Si tratta di venticinque
pezzi provenienti da Persepoli, il palazzo-città di Dario, e dal museo
di Teheran – segno dei nuovi rapporti con l'Iran – tra elementi
scultorei, bronzi e oggetti di oreficeria. Fondato da Ciro il Grande nel
550 a.C. e demolito dal turbine di Alessandro Magno – che a sua volta
si presentò come suo 'erede' – tra 333 e 330 a.C., l'impero achemenide
si estendeva dalle coste del Mediterraneo sino al subcontinente indiano.
Le diverse etnie coperte dall'ombra persiana erano tributarie del "Re
dei Re", come testimoniato dai celebri pannelli della scalinata di
Persepoli, il palazzo-città che il condottiero macedone avrebbe dato
alle fiamme nel 330 dopo avervi soggiornato per diversi mesi.
L'architettura e l'arte achemenidi riassumono in sé la varietà culturale
dell'impero, con presenze che derivano dalla tradizione mesopotamiche,
elementi egizi e altri di ispirazione greca: «Non si tratta di
un'architettura eclettica per scarsa originalità, come erroneamente
creduto sino alla metà del Novecento – scrive in catalogo
(Allemandi/Fondazione Aquileia) Pierfrancesco Callieri – ma del frutto
di un abile programma teso a dimostrare la grandezza eccezionale
dell'impero e la piena partecipazione di tutti i suoi popoli alla
missione affidata dal Dio Ahuramazda al sovrano persiano».
Un'architettura monumentale che i pezzi in pietra calcarea sia bianca
che, soprattutto, nera esposti ad Aquileia suggeriscono per frammento,
stimolando la fantasia a immaginarne la portata – e qui agisce in
sintonia con il contesto archeologico circostante, dove è frastornante
sapere che il borgo odierno di poco più di tremila abitanti era una
città di 350mila abitanti, i cui resti sono quasi seminati tra i campi e
le case. Enormi artigli leonini, teste bovine, torsi di tori
antropomorfi in origine parte di enormi capitelli, lucidissimi e dai
volumi perfettamente torniti. Dal grande al piccolo: le zampe leonine le
ritroviamo in faience, la ceramica dai toni blu lapislazzuli, mentre
una placca bronzea mostra l'incedere maestoso di una teoria di felini
alati. Notevole poi ancora in bronzo una base composta da tre leoni a
figura intera che sembrano imprimere un moto perpetuo. Il clou della
mostra è però composto da una serie di ori del V secolo a.C.: un
bracciale delle guardie imperiali (le cui protomi leonine hanno
somiglianze impressionanti con gli affusolati leoni antelamici), lamine
ornamentali (con due leoni monocefali che ritroveremo secoli dopo nel
Medioevo fantastico europeo), un pugnale e soprattutto un magnifico
rhyton, una sorta di "brocca" rituale, con la base costituita da un
leone alato. La mostra si conclude con un salto di un migliaio di anni
alla dinastia sasanide, alla testa del secondo impero persiano a partire
dalla fine del V secolo d.C. e la cui storia si chiude con la conquista
araba e l'islamizzazione della Persia. Le due teste leonine in stucco
mostrano una decadenza della scultura ma i modelli restano
sorprendentemente famigliari: non c'è reale differenza formale tra la
placca decorativa con il muso in una cornice rotonda e i diffusissimi
battiporta che vengono prodotti ancora oggi. Notevole invece il piatto
d'argento con scena di caccia equestre al leone, del IV secolo dopo
Cristo. Il cavaliere è rappresentato mentre al galoppo scaglia la
freccia voltato di spalle. Il leone è mostrato due volte: in fuga e poi
morto. Colpisce il nitore tecnico dello sbalzo e dell'incisione, come la
ricerca di una maggiore freschezza naturalistica. Se infatti il
cavaliere è ritratto nelle schematica posa di profilo, la testa del
cavallo accenna a una torsione di tre quarti che ne rivela la dimensione
volumetrica mentre il leone – che, quando è abbattuto, ha la testa
reclinata – è una bestia guizzante. Simbolo ancora, sì, ma vivo.