sabato 9 luglio 2016

Avvenire.it 08.07.16
Aquileia
Quando Tori e Leoni agitavano le acque del Mediterraneo
di Alessandro Beltrami

Difficile trovare un simbolo altrettanto duraturo e diffuso – al punto da essere pressoché universale – come il leone. Meriterebbe un'intera mostra apposita per la sua capacità di essere dimostrazione vivente della permanenza dei simboli. Il leone è passato da cultura a cultura incarnando intatti i valori della forza e della regalità. È una tradizione che ha origine in Egitto e passa presto in area mesopotamica e iranica, per poi dilagare. Si può ricostruire un piccolo ma significativo tassello visitando la mostra Leoni e Tori dall'antica Persia ad Aquileia, organizzata dalla Fondazione Aquileia, che da alcuni anni si occupa della valorizzazione dell'importante sito friulano, e allestita nel Museo archeologico nazionale. Si tratta di venticinque pezzi provenienti da Persepoli, il palazzo-città di Dario, e dal museo di Teheran – segno dei nuovi rapporti con l'Iran – tra elementi scultorei, bronzi e oggetti di oreficeria. Fondato da Ciro il Grande nel 550 a.C. e demolito dal turbine di Alessandro Magno – che a sua volta si presentò come suo 'erede' – tra 333 e 330 a.C., l'impero achemenide si estendeva dalle coste del Mediterraneo sino al subcontinente indiano. Le diverse etnie coperte dall'ombra persiana erano tributarie del "Re dei Re", come testimoniato dai celebri pannelli della scalinata di Persepoli, il palazzo-città che il condottiero macedone avrebbe dato alle fiamme nel 330 dopo avervi soggiornato per diversi mesi. L'architettura e l'arte achemenidi riassumono in sé la varietà culturale dell'impero, con presenze che derivano dalla tradizione mesopotamiche, elementi egizi e altri di ispirazione greca: «Non si tratta di un'architettura eclettica per scarsa originalità, come erroneamente creduto sino alla metà del Novecento – scrive in catalogo (Allemandi/Fondazione Aquileia) Pierfrancesco Callieri – ma del frutto di un abile programma teso a dimostrare la grandezza eccezionale dell'impero e la piena partecipazione di tutti i suoi popoli alla missione affidata dal Dio Ahuramazda al sovrano persiano». Un'architettura monumentale che i pezzi in pietra calcarea sia bianca che, soprattutto, nera esposti ad Aquileia suggeriscono per frammento, stimolando la fantasia a immaginarne la portata – e qui agisce in sintonia con il contesto archeologico circostante, dove è frastornante sapere che il borgo odierno di poco più di tremila abitanti era una città di 350mila abitanti, i cui resti sono quasi seminati tra i campi e le case. Enormi artigli leonini, teste bovine, torsi di tori antropomorfi in origine parte di enormi capitelli, lucidissimi e dai volumi perfettamente torniti. Dal grande al piccolo: le zampe leonine le ritroviamo in faience, la ceramica dai toni blu lapislazzuli, mentre una placca bronzea mostra l'incedere maestoso di una teoria di felini alati. Notevole poi ancora in bronzo una base composta da tre leoni a figura intera che sembrano imprimere un moto perpetuo. Il clou della mostra è però composto da una serie di ori del V secolo a.C.: un bracciale delle guardie imperiali (le cui protomi leonine hanno somiglianze impressionanti con gli affusolati leoni antelamici), lamine ornamentali (con due leoni monocefali che ritroveremo secoli dopo nel Medioevo fantastico europeo), un pugnale e soprattutto un magnifico rhyton, una sorta di "brocca" rituale, con la base costituita da un leone alato. La mostra si conclude con un salto di un migliaio di anni alla dinastia sasanide, alla testa del secondo impero persiano a partire dalla fine del V secolo d.C. e la cui storia si chiude con la conquista araba e l'islamizzazione della Persia. Le due teste leonine in stucco mostrano una decadenza della scultura ma i modelli restano sorprendentemente famigliari: non c'è reale differenza formale tra la placca decorativa con il muso in una cornice rotonda e i diffusissimi battiporta che vengono prodotti ancora oggi. Notevole invece il piatto d'argento con scena di caccia equestre al leone, del IV secolo dopo Cristo. Il cavaliere è rappresentato mentre al galoppo scaglia la freccia voltato di spalle. Il leone è mostrato due volte: in fuga e poi morto. Colpisce il nitore tecnico dello sbalzo e dell'incisione, come la ricerca di una maggiore freschezza naturalistica. Se infatti il cavaliere è ritratto nelle schematica posa di profilo, la testa del cavallo accenna a una torsione di tre quarti che ne rivela la dimensione volumetrica mentre il leone – che, quando è abbattuto, ha la testa reclinata – è una bestia guizzante. Simbolo ancora, sì, ma vivo.