Repubblica 3.6.16
Fra ’500 e ’600 furono tanti i vantaggi per le città che aprivano le porte a chi veniva espulso dal proprio Paese
Quando i migranti erano portatori di ricchezza
di Adriano Prosperi
Questo
testo è una sintesi dell’intervento che Adriano Prosperi legge alle 11
di oggi al festival dell’Economia di Trento. Il festival è iniziato ieri
e prosegue fino a domenica. Oggi sono in programma, fra gli altri,
Christian Dustmann, Federico Rampini, Raffaele Cantone e Carlo Calenda.
Domani Ignazio Visco, Paolo Gentiloni e Pier Carlo Padoan e domenica Maria Elena Boschi e Michael Spence
Il
contesto in cui viviamo è tale da mettere definitivamente fuori uso
ogni residuo di idea della storia come percorso ascensionale,
progressivo della cosiddetta civiltà europea. Davanti al mare che
inghiotte ogni giorno vite umane e alle folle di migranti che si
ammassano davanti ai muri alzati dalla paura della nostra sedicente
Unione Europea, gli studiosi del passato sembrano aver poco da dire:
come l’angelo di Walter Benjamin, quella che si vede della storia è
l’immagine di una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su
rovine. E tuttavia dallo studio di altre migrazioni di popoli accadute
nel passato emergono constatazioni che possono avere qualche interesse
per le discussioni attuali: per esempio quella sui conflitti delle
cosiddette “identità”.
C’è stato un tempo in cui il Mediterraneo fu già lo scenario di tragedie simili a
quelle
attuali: accadde esattmente all’epoca in cui la formazione delle grandi
monarchie nazionali moderne avvenne al prezzo dell’intolleranza
religiosa come strumento per formare una “identità”, cioè un sentimento
collettivo di appartenenza. La vicenda si può far cominciare dal 1492,
con la migrazione di centinaia di migliaia di ebrei dalla Spagna dove
l’unificazione di popoli di culture, lingue e religioni diverse sotto un
solo sovrano avvenne al prezzo dell’espulsione delle minoranze
religiose. Seguì tra il 1607 e il 1614 l’espulsione della ancor più
numerosa minoranza dei “moriscos”, nonostante che si fosse piegata al
battesimo. Fra queste due date la frattura religiosa dell’unità
cristiana aveva intanto obbligato numerose comunità europee a spostarsi
verso stati dove fosse possibile praticare la loro religione diventata
un’eresia per il luogo dove abitavano. Il principio che legava la
religione di un popolo a quella del sovrano territoriale , sancito con
la “pacificazione religiosa” di Augusta, risolse il problema di come
garantire la sopravvivenza di strutture statali davanti alla diffusione
inarrestabile di laceranti conflitti religiosi tra le ortodossie in
lotta.
Lo studio di quel che accadde allora nel Mediterraneo e in
Europa ha proposto scenari tragici ma con qualche dato a favore di chi
ritiene che l’afflusso di gruppi umani in cerca di lavoro e portatori di
altre culture possa essere un’occasione positiva e di crescita per le
società disposte ad accoglierli.
Nel caso degli ebrei sefarditi
come in quello dei “moriscos” ritroviamo molti aspetti delle tragedie
attuali: navi affondate o respinte dai porti cristiani con un carico
umano esposto alla fame e alla peste, uomini, donne e bambini
abbandonati su coste ostili, esposti a finire sui mercati del lavoro
schiavile e della prostituzione (allora molto fiorenti). Il numero delle
vittime fu altissimo. Quantificarlo è difficile, ancor più di quanto lo
sia oggi quello degli annegati nel Mediterraneo.
Ma ci furono
alcuni casi in cui si aprirono ai migranti possibilità di insediamento. È
noto il caso del duca di Ferrara che aprì le porte del suo stato agli
ebrei spagnoli e li tutelò dall’intolleranza religiosa seminata nel
popolo dalla Chiesa: ne ricavò così vantaggi economici e regalò alla
città e allo stato un grande arricchimento civile e culturale. E anche
il granducato di Toscana aprì agli ebrei portoghesi in fuga la
possibilità di insediarsi nell’area di Livorno : le leggi “Livornine”
(1593) ne garantirono la sicurezza. Livorno ne ricavò uno sviluppo
economico e culturale che la rese il porto maggiore del Mediterraneo e
una vera capitale culturale aperta alle idee di tolleranza
dell’Illuminismo.
Quanto ai“moriscos”, le ricerche storiche hanno
individuato alcuni, rari casi di apertura, accanto al prevalente
sfruttamento selvaggio della merce umana e a una duplice violenza
religiosa che si esercitò contro chi, in quanto battezzato, era apostata
per l’Islam però veniva intanto rigettato come apostata dagli stati
cristiani. Ma non mancarono tentativi di attirarli per ripopolare aree
da bonificare e mettere a coltura o rilanciare attività commerciali. E
ci furono forme di insediamento diffuso nella grande città (Napoli) o in
aree costiere dove furono pacificamente accolti dalla popolazione.
In
tutti questi casi la produzione di identità collettive obbliga- torie
da parte dei grandi Stati nazionali e delle rispettive Chiese dette vita
a forme di intolleranza e di rifiuto preconcette che non ebbero nemmeno
bisogno per alimentarsi della presenza effettiva dell’”altro”
(l’ebreo,l’infedele). Invece l’immissione effettiva di immigrati di
diversa cultura e/o religione, ben lungi dal creare conflitti sociali e
impoverimento, si rivelò fonte di progresso economico e culturale. La
regola trova conferma nei movimenti di minoranze religiose interne
all’Europa: come quella delle 55 famiglie italiane di Locarno emigrate a
Zurigo a metà ‘500 per fedeltà alla scelta religiosa riformata; o
quella degli ugonotti francesi che nel ‘600 si spostarono a Ginevra e a
Erlangen portandovi un sapere e uno spirito d’iniziativa che dette
frutti (si pensi all’industria degli orologi). E ci sono tanti altri
casi da prendere in esame per rileggere aspetti poco noti della moderna
storia europea e fare i conti con le intolleranze “identitarie” antiche e
moderne che la caratterizzano ma anche con gli esperimenti positivi
degli innesti che vi furono.
Tutta questa materia si offre oggi
come un campo di studio per una storiografia spinta a diventare non più
il sapere egoista di culture chiuse ma scienza dell’alterità,
“xenologia”.