Repubblica 20.6.16
Le protagoniste.
Virginia e Chiara le donne tranquille che hanno demolito le speranze dem
Come la Dea Roma e Giovanna d’Arco, giovani madri, hanno sconfitto il renzismo
di Filippo Ceccarelli
FORSE
VIRGINIA Raggi non lo sa, ma quando ha chiuso la campagna elettorale a
piazza del Popolo, proprio dietro al palco, come a guardarle le spalle,
c’era l’enorme statua della Dea Roma, e ai suoi piedi la lupa, con tanto
di gemelli.
L’enorme gruppo scultoreo progettato dal Valadier è
anche conosciuto — e si lo ricorda con qualche ritegno dopo i risultati
elettorali — come “Roma trionfante”. Più che il trionfo della nuova
sindaca a cinque stelle, è la novità politica a sottolineare la natura
certamente femminile dell’antica divinità, le cui marmoree
raffigurazioni nell’Urbe sono generalmente abbinate a fontane.
Dopo
quella di piazza del Popolo, Raggi troverà un’altra e più significativa
Dea Roma al Campidoglio. Questa, in marmo ed alabastro, è situata in
una nicchia proprio sotto la scalinata del Palazzo Senatorio su cui
salirà solennemente il giorno della proclamazione.
A Torino, ex
capitale della grande industria e del comunismo italiano, la vincitrice
sempre a cinque stelle Chiara Appendino non dispone ovviamente di
risorse mitologiche di tale impronta e risonanza femminile. Ma una volta
che in consiglio comunale risultò nelle sue accuse particolarmente
persistente, per non dire provocatoria nei riguardi del sindaco Fassino,
ecco, fu questi, che fra le tante sue virtù non si può dire che
possieda la pazienza, ad assegnarle a suo modo l’aureola e la spada:
«Non abbiamo bisogno di una Giovanna d’Arco della pubblica moralità».
Ora,
non si è mai troppo sorvegliati e prudenti nell’affrontare il tema e il
ruolo delle donne nella politica e nel potere — e già rischiosa può
risultare l’evocazione di una santa guerriera e di un’antichissima dea
raffigurata con elmo, lancia, sfera e timone (quest’ultimo peraltro
rubatole di mano a piazza del Popolo una notte del 2013).
Ma anche
senza forzature e svolazzi la prova delle urne dice abbastanza
nettamente che due donne hanno “asfaltato” — quanto di più indegnamente
maschile il lessico politico ha prodotto negli ultimi anni — le già
tenui e residue speranze del Pd e del renzismo.
Ci sarà il tempo
per capire meglio il fondamento, i contorni e gli sviluppi di questi due
successi. Ma intanto si può azzardare che Appendino e Raggi, forse
proprio perché donne, hanno in qualche consistente misura attenuato la
carica sovversiva e settaria del grillismo.
Niente spettacoli
urlati sui palchi, niente isterie carismatiche, niente fantasticherie
utopistiche. Anche nel M5S il passaggio di genere, il prevalere quasi
naturale, senza tanti strombazzamenti, di candidate donne ha creato
prima le condizioni per una campagna elettorale tranquilla, per certi
aspetti anche moderata, e poi lo slancio per la vittoria.
Nessuna
città, nessun consiglio comunale da aprire “come scatole di tonno”.
Competenza, concretezza, magari in forma di promessa, approccio politico
rasoterra, addio distinzioni tra destra e sinistra, distacco dal
vecchio sistema dei partiti ormai vissuti come bande, e appena un filo
di fantasia.
Così una moltitudine di elettori già inquieti si sono
sentiti in parte rassicurati: a Roma dalla fotogenica avvocata — in
realtà assimilabile alla figura della “maestrina” — venuta su nei gruppi
di acquisto solidale; mentre a Torino hanno scelto la manager
bocconiana che come slogan portava «L’alternativa è Chiara», e nel suo
curriculum poteva vantare uno stage nella Juventus, da cui una tesi
specialistica: «La gestione dei conti di una società di calcio: la
valutazione del parco giocatori».
Colpisce il profilo parallelo
delle due vincitrici: 37 anni Raggi, 31 Appendino, tutte e due mamme di
bambini piccoli. Vita “normale”, per quanto di inesplorato l’aggettivo
possa recare in dote; un aspetto certo gradevole e spendibile sul piano
delle rappresentazioni mediatiche; e tuttavia, o meglio, o comunque,
entrambi segnate da una forte connotazione di novità anti-
establishment.
E qui, dinanzi a queste due figure, è anche
irresistibile riflettere su quanto il renzismo ha finora investito sul
più netto ricambio anagrafico (la rottamazione), sul più evidente
riequilibrio di genere (le ministre importanti, le capolista, le
presidentesse negli enti), cioè sulle donne, e infine sulla carica di
estraneità alla vecchia e consumata nomenklatura partitica.
Ed
ecco che la bandiera, i simboli e gli sforzi di Renzi se li sono presi i
suoi avversari. Ennesima variabile elettorale di apprendista stregone.