Repubblica 20.6.16
L’esponente del Movimento ha ribaltato il risultato del primo turno e ora punta a rassicurare la città: “Non sono una marziana”
La grande rimonta della bocconiana “Siamo pronti”
La festa dei grillini sotto il Palazzo Civico: “Grazie al mio predecessore”
di Sebastiano Messina
TORINO.
«Aspettiamo» ha detto fino all’ultimo, davanti al primo e pure al
secondo exit poll. Ma quando i primi dati dai seggi hanno confermato che
ormai era lei, il nuovo sindaco di Torino, Chiara Appendino è scoppiata
in lacrime. Ha abbracciato il marito, Marco, il papà ingegnere e pure
la nonna novantenne. Poi s’è asciugata le lacrime, è andata al Palazzo
Civico e ha parlato alla città. Per rassicurarla: «Noi siamo pronti a
governare» ha detto, però non stiamo facendo la rivoluzione. «Altro non
siamo che il piccolo frammento della storia della nostra città» ha
spiegato, cogliendo di sorpresa qualcuno di quei grillini che l’avevano
accolta gridando “Fassino, Fassino, fuori da Torino”. Lei ha preso la
strada opposta. «Ringrazio il mio predecessore» ha detto, con un gesto
che andava oltre lo stile (il suo rivale sconfitto è stato tra i primi a
chiamarla per congratularsi). No, il suo era un messaggio a quella metà
di Torino che non l’ha votata. «Noi abbiamo il dovere di custodire
l’eredità che ci è stata consegnata e di lasciarla migliore di come
l’abbiamo trovata a chi ci succederà. Io. La mia squadra abbiamo il
compito di scrivere le parole nelle quali ciacun torinese possa sentirsi
rappresentato».
Intanto, là sotto, una folla di militanti
pentastellati festeggiava la presa del Comune. Bandiere al vento,
abbracci, cori di “o-ne-stà, o-ne-stà”, e soprattutto grida di esultanza
liberatoria. “Fuori la mafia dallo Stato!”. “Giù le mani dalla Val di
Susa!”. “Le chiavi, Fassino dacci le chiavi!”. E finalmente è cominciata
la festa per la vittoria, con un ospite venuto da Livorno, il sindaco
Filippo Nogarin.
Lei, Chiara Appendino, la bocconiana che si è
laureata con una tesi sulla gestione del parco giocatori della Juve,
alle 9 in punto è andata a votare al seggio 335 con un completo
ultra-sobrio (giacca nera, pantaloni bianchi e maglietta a righe), poi
si è chiusa nel suo appartamento all’ultimo piano della palazzina
Liberty di via Beaumont, alle spalle di piazza Statuto.
La
giornata che ha cambiato la sua vita l’ha passata giocando a risiko,
guardando la tv e facendo la mamma, perché giusto ieri la sua Sara
compiva cinque mesi (e aveva pure 38 di febbre). «Se vincerà, uscirà per
andare dritta al Comune» avevano avvertito i suoi collaboratori, con un
inconfessato sollievo per questa pausa di quarantott’ore tra una
campagna elettorale condotta a un’andatura da sfiancare un cavallo e un
futuro prossimo che si annuncia tutto in salita per l’impertinente
grillina che ha osato sfidare la sinistra nella città di Togliatti, di
Longo e di Pajetta. «I nostri sono tutti ai seggi a fare i
rappresentanti di lista» spiegavano i pochi che comunque si sono
radunati sotto la casa di via Beaumont, e in questa giustificazione
buttata lì con orgogliosa modestia sabauda, c’era il segno della
torinesità di questa legione pentastellata che non ha fatto le
“comunarie” per scegliere la sua candidata (eletta per acclamazione,
all’unanimità, da un’assemblea di 250 attivisti).
La gioia, tra i
grillini, è esplosa subito dopo i primi exit-poll che ribaltavano i
risultati del primo turno. C’era chi suonava il clacson, come hanno
fatto per lo scudetto della Juve, chi girava a piedi per le strade del
centro scandendo lo slogan ufficiale, “O-ne-stà, o-ne-stà” e chi
sventolava dal balcone la bandiera con le cinque stelle. Eppure, era
quasi surreale questa esultanza soffocata senza un epicentro. Due
domeniche fa, la sera del primo turno, i cinquestelle si erano dati
appuntamento nel cortile del Maglio, l’antico arsenale dei Savoia.
Stavolta invece chi non era di vedetta ai seggi non sapeva dove andare, e
così alla fine tutti sono andati al Comune. “Grazie Fassino!”, ha
urlato uno dei primi ad arrivare, e il grido è stato accolto da una
risata collettiva. I grillini non hanno dimenticato quello che l’ex
sindaco, spazientito per le continue interruzioni della consigliera
Appendino, le disse esattamente un anno fa in Consiglio comunale,
indicandole la poltrona del primo cittadino: “Lei si segga su quella
sedia e vediamo di cosa sarà capace”. Quella che voleva essere una sfida
paradossale, un’ipotesi per assurdo, un anno dopo si è rivelata una
profezia amara, per chi la lanciò. Ma stamattina quella domanda
rimbalzerà nei caffè e nei mercati, negli uffici del centro e nei
casermoni popolari delle periferie: di cosa sarà capace, Chiara
Appendino?