martedì 14 giugno 2016

Repubblica 14.6.16
Lo Spirito Santo e l’invenzione della mente
“Il perfetto sconosciuto” di San Paolo secondo Papa Francesco
In una recente omelia, il pontefice ha spiegato con accenti innovativi una figura fondamentale per i credenti ma che ha rilievo anche per i non credenti
Perché gli esseri umani possiedono facoltà di pensiero, di fantasia e di creatività
La vita cristiana, sottolinea Bergoglio, non è un’etica né una morale, bensì un incontro con Gesù, al quale siamo condotti dal mistero trinitario Nella nostra specie c’è qualcosa che sfugge ai cinque sensi. Ma non è l’energia, che è materiale, è qualcosa legato all’inventare pensando
di Eugenio Scalfari

UN PERFETTO sconosciuto o addirittura un prigioniero di lusso», così ha detto papa Francesco durante l’Omelia pronunciata durante la messa nella cappella di Santa Marta. La messa era dedicata a Santa Luisa di Marillac, beatificata il 9 maggio 1920. La Santa è stata la fondatrice delle suore di San Vincenzo de’ Paoli, destinate soprattutto ad assistere i deboli e gli ammalati negli ospedali e in altri luoghi di ricovero. A molti credo sia capitato di vederle all’opera con la loro cuffia bianca inamidata che le distingueva dagli altri ordini anch’essi dedicati all’assistenza ospedaliera.
Se comunque la capacità di affetto e di cure è richiesta alle suore, quelle di S. Vincenzo hanno un’esperienza e una capacità eccezionali che Francesco ha in questo caso di rievocazione della loro fondatrice voluto ricordare e riconoscere.
Tuttavia il centro dell’Omelia non è stato questo ma quel perfetto “sconosciuto” di cui il Papa aveva accennato all’inizio. Chi è costui? Fa parte del nostro mondo? O soltanto di quello dei credenti? Il tema è fondamentale per gli uni ed anche per gli altri ed è lo Spirito Santo che fa parte del mistero trinitario. Quello che per primo ne ha parlato è stato il tredicesimo apostolo, Paolo di Tarso, che in una sua lettera alla comunità di Efeso fece per l’appunto un cenno a questa terza persona trinitaria. Prima d’allora praticamente non se n’era mai parlato, gli apostoli avevano Dio come Padre e Gesù come Figlio.
Paolo di Tarso non conobbe mai Gesù, non fu tra i suoi dodici apostoli, ma come tale egli disse se stesso e gli altri dissero lui. Non aveva mai conosciuto Gesù, in uno dei suoi viaggi di commercio cadde da cavallo e svenne e durante lo svenimento, mentre lentamente si riaveva, vide un’immagine affascinante da tutti i punti di vista che la sua mente ancora non totalmente riavutasi interpretò come l’immagine di Gesù. Di fatto fu il tredicesimo apostolo e sostanzialmente fu il vero fondatore della religione cristiana.
A proposito dello Spirito Santo ne troviamo appunto una menzione negli Atti degli apostoli dove sono raccolte tutte le memorie, le lettere, le comunicazioni tra gli uni e gli altri. Paolo scrisse molte lettere alle varie comunità cristiane che man mano si formarono. Non risulta che abbia lasciato altri libri e tanto meno vangeli, ma quelle lettere furono quasi sempre fondamentali per la costruzione della religione e in realtà ne costituirono il corpo dottrinario.
Dello Spirito Santo parla appunto per la prima volta nella sua Lettera agli Efesini. Papa Francesco fa riferimento ad essa nella sua omelia cui abbiamo accennato. Ecco il brano che merita citazione ( Atti degli apostoli 19.1/8): «Paolo incontra a Efeso alcuni discepoli che credevano in Gesù e fa loro questa domanda: “Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?”. E loro, dopo essersi guardati un po’ stupiti, gli hanno risposto: “Non abbiamo nemmeno sentito dire che esista uno Spirito Santo”. Erano dunque discepoli buoni ma non avevano mai sentito quel nome. Paolo riprende subito il dialogo domandando quale battesimo avessero ricevuto. E i discepoli: “Quello di Giovanni”. Così Paolo spiega loro che quello era un battesimo di penitenza, di preparazione. Ascoltando Paolo i discepoli di Efeso si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù. Si legge negli Atti: “E non appena Paolo ebbe imposto loro le mani discese su di loro lo Spirito Santo e si misero a parlare in lingue e a profetizzare”. Dunque è un cammino: il cammino di conversione, ma mancava il battesimo e poi l’imposizione delle mani perché venisse lo Spirito Santo».
Papa Francesco si è soffermato come abbiamo visto molto su questo colloquio tra Paolo e gli Efesini riportato dagli Atti. Ma poi continua lui a commentare: «Se noi domandiamo a tante brave persone: chi è lo Spirito Santo per te? E che cosa fa e dov’è? L’unica risposta sarà che è la terza persona della Trinità. Esattamente come hanno imparato a catechismo. Certo sanno che il Padre ha creato il mondo perché la creazione è attribuita al Padre. E sanno anche che il Figlio è Gesù che ci ha redenti e ha dato la vita per tutti noi. Dunque riguardo allo Spirito Santo sanno soltanto che è la terza persona della Trinità, ma se gli chiedi che cosa fa? Ti rispondono che è lì. E così si fermano i nostri cristiani».
Segue la spiegazione di Francesco: «Lo Spirito Santo è quello che muove la Chiesa, è quello che lavora nella Chiesa, nei nostri cuori; è quello che fa di ogni cristiano una persona diversa dall’altra ma da tutti insieme fa l’unità. Dunque lo Spirito Santo è quello che porta avanti, spalanca le porte e ti invia a dare testimonianza di Gesù».
Questo è quel “perfetto sconosciuto” di cui in realtà dopo la lettera di Paolo agli Efesini quasi nessuno ha più parlato in termini dottrinali. Francesco, come in tante altre occasioni, ha rotto il silenzio e ha fornito nuova materia alla sua Chiesa di missione di acculturare nel modo giusto i missionari e coloro che ne seguiranno la predicazione.
A questo punto, leggiamo sull’Osservatore Romano del 10 maggio scorso, papa Francesco ha messo in guardia da un pericolo: quando non siamo all’altezza di questa missione dello Spirito Santo e non lo riceviamo così, si finisce per ridurre la fede ad una morale, ad un’etica. E si pensa che adempiere a tutti i comandamenti sia abbastanza ma niente di più. E così ci diciamo: questo si può fare, questo non si può fare, fino a qui sì, fino là no, cadendo nella statistica e in una morale fredda. Ma, ha ricordato il Papa, la vita cristiana non è un’etica, è un incontro con Gesù Cristo e chi ci porta a quell’incontro è proprio lo Spirito Santo.
Questo è il “perfetto sconosciuto” che Francesco ci fa conoscere benissimo. Paolo ha aperto la questione, ma Francesco dopo duemila anni la porta di gran lunga più avanti.
Questo tema interessa moltissimo i cristiani ma interessa moltissimo anche i non credenti. Vi domanderete probabilmente il perché e nella seconda parte di questo articolo cercheremo di spiegarlo.
***
Tutte le persone che appartengono alla nostra specie hanno un “me” dentro al proprio “sé” e tutti hanno anche un “noi”. Siamo una specie socievole che cerca gli altri poiché ne ha bisogno.
Gli animali, dai quali la nostra specie deriva, sono anch’essi socievoli nei modi più vari e diffusi. Il “noi” animalesco è strettamente connesso al sesso e alla procreazione. Non hanno invece il “me” poiché la loro mente (nei limiti in cui di mente si può parlare) non è riflessiva, non si vede vivere, non si vede invecchiare. Il “noi” fa parte dei bisogni primari, il “me” non esiste salvo per alcuni animali nobili e addomesticabili: il cavallo, il cane, numerose qualità di scimmie, i gatti; e pochissimi altri. Questi, se escono dalla selvatichezza, accettano o addirittura cercano un capo, un punto vivente di riferimento del quale eseguono le parole d’ordine e perfino comunica- no sentimenti di affetto e di attaccamento quasi sempre ricambiati.
Ma torniamo alla nostra specie, che ha come segnali di distinzione la capacità di vedersi vivere, la volontà consapevole, la memoria di quanto è accaduto a lui, alla sua famiglia e addirittura alla propria specie come storia documentata nei vari modi con i quali la scienza coglie le tracce del passato.
La scienza studia anche l’universo in cui viviamo, le forme di energia che lo pervadono e ci pervadono; insomma il quadro dove anche la nostra vita si svolge e le forze astrali che la dominano.
La nostra specie ha un suo spirito. Definirlo non è facile. Lo spirito è un elemento immateriale? Così lo concepisce una conoscenza elementare, ma è sbagliato. Non lo si vede con gli occhi, non lo si ascolta con l’udito, non lo si percepisce col tatto. Sfugge ai cinque sensi dei quali il nostro corpo dispone, ma è un’energia e l’energia non è immateriale, la si misura, sviluppa campi magnetici, onde che la trasportano, leggi di gravità che determinano l’attrazione reciproca dei corpi astrali, velocità cosmiche del micro e del macro e mille altre cose ancora. Vi sembra immateriale tutto questo? Forse quella parole è usata male. Forse in tutto l’esistente, quello che noi definiamo cosmo, non c’è nulla di immateriale, salvo… Salvo i pensieri, le fantasie, la creatività. Il Dio delle religioni, quello è immateriale perché deriva da un nostro pensiero creativo. È un’invenzione, una favola che ci raccontiamo e se non ce la raccontassimo quel soggetto che chiamiamo Dio non esisterebbe.
Ecco dunque che cos’è lo spirito: la nostra capacità di inventare pensando, di creare pensando, di raccontarci pensando.
Denis Diderot disse una frase diventata celebre in uno dei suoi dialoghi, si chiama: Le Rêve de D’Alembert. Era seduto su una panchina nei giardini di Palais Royal e pensava le cose più strane che gli venivano in mente e poi fuggivano via, un attimo dopo altri pensieri gli arrivavano e poi dileguavano. E mentre questo giro di pensieri frequentava la sua mente, i suoi occhi guardavano in fondo al giardino dove alcune “ragazze di vita” acchiappavano i clienti e li portavano a far l’amore in alcune pensioni esistenti apposta sotto i portici di quel giardino. Dopo un po’ uscivano e accalappiavano altri clienti.
Come i miei pensieri, dice a questo punto Diderot, e qui la celebre frase: «Mes pensées, ce sont mes catins». I miei pensieri sono le mie puttane. L’ho citata varie volte questa frase perché mi sembra una definizione perfetta dello spirito.
Mes pensées, ce sont mes catins. Immateriale e materialissimo insieme. Lo spirito è così e il suo modo d’essere non l’ha definito la mente. La mente è immateriale e materialissima perché è il cervello che la crea. La crea e la modifica di continuo. Un organo del corpo in contatto con tutti gli altri organi, sostanze che lo modificano, realtà che cambia e con essa cambia la mente. Questa è la nostra specie, quando l’animale divenne bipede e sollevò la testa verso il cielo. E vide sé stesso vivere.
Dunque lo spirito c’è, noi l’abbiamo. È condizionato dalla mutabilità del corpo, ma a sua volta lo condiziona. E si domanda se, dopo la morte, esiste un aldilà. A volte dice no, a volte dice sì e in questo caso cerca di immaginare che cosa sia quell’aldilà. Così è nato Dio che inevitabilmente morirà quando la nostra specie, come tutte le cose che nascono, scomparirà.
Ma se la mente non si pone affatto il problema dell’aldilà, Dio da quella mente non viene neppure immaginato, neppure inventato. La morte, la sorella morte, quella sì, tutti noi sappiamo che verrà e al momento decisivo ci toccherà la spalla e tutto sarà finito. Se tutte le menti pensassero in questo modo Dio non esisterebbe per nessuno. Ma un’altra domanda si pone: chi ha creato l’Universo in cui viviamo? Una risposta scientifica spiega come è fatto ma non come è nato e come morirà. Si può pensare che sia eterno? La parola eternità evoca la categoria del tempo. Ecco un’altra domanda: che cos’è il tempo? La nostra specie pensa il tempo e lo applica a tutte le entità viventi e perfino a quelle non viventi. Il tempo è Dio? È un’ipotesi che la mente è in grado di formulare. I poeti li fondarono e li hanno fatti diventare un mito.
I miti sono molti e ci aiutano a vivere. Uno è l’amore, rappresentato da Eros, signore dei desideri. L’altro è il tempo pensato dalla mente. Le Parche tessono la vita col compito di tagliare il filo di quel tessuto. Le Parche dunque sono quelle che chiamiamo destino. Oppure caso. Sembrano opposte queste due parole ma ad esaminarle con attenzione sono eguali, esprimono lo stesso concetto che la cultura classica chiamava il Fato, alla cui legge dovevano obbedire non solo gli uomini ma perfino gli Dei. Dunque il tempo e il fato. Chi li ha creati? Noi, li abbiamo creati noi. E quindi siamo noi i creatori della nostra vita e delle sue leggi. Ogni specie ha le proprie, ma solo la nostra pensa a noi stessi ed anche agli altri. Questo è lo spirito e forse dovevano sentirlo anche i nostri antenati come fece Paolo di Tarso quando interrogò i cristiani di Efeso. Anche il suo Spirito Santo inventava la vita nel modo con cui il tredicesimo apostolo la inventò.