sabato 11 giugno 2016

Repubblica 11.6.16
“Matteo lasci i lanciafiamme o invecchia presto”
di Gianni Cuperlo

Caro Direttore, “Che fare del Pd?” si è chiesto Ezio Mauro in un articolo severo dove ha spiegato che un partito vive di interessi più che di performance. Che l’ottimismo non è un’ideologia e guidare non equivale a comandare. Che si innova rispettando i valori. Nessuno sconto anche alle minoranze colpevoli di giudicare Renzi un abusivo anziché metamorfosi dei propri ritardi. Il tutto mentre molto ci sarebbe da fare per ancorare quel partito alla ragione che lo ha visto sorgere. Riuscirci, scrive Mauro, vuol dire descrivere la “sinistra per il nuovo secolo”. E qui il discorso si complica perché in assenza di legami con chi sta peggio si finisce a parlare di bisogni senza incrociarli finché le persone non ti riconoscono più. E però se i più affaticati, i perdenti del mondo globale, diventano ombre è difficile stupirsi per la crisi della democrazia o la furia dei populismi. Allora merita dirsi la verità. E io non fatico ad ammettere gli errori della sinistra anche se non penso che il nodo sia il rifiuto del leader che c’è. Per parte mia il premier è tutt’altro che un abusivo, lo giuro. Penso a errori diversi. Come la scelta di inseguire troppo l’agenda parlamentare coll’effetto di un dissenso espresso su norme simbolo – jobs act, legge elettorale, pezzi di riforma della Costituzione – senza con ciò acquisire più credibilità. Da qui il primo monito, l’anima della sinistra non la ritrovi dentro le sole istituzioni, ma nelle pieghe di quel popolo che si stacca da noi per linguaggio e sentimenti. Basta la forza di un talento a recuperare? No. E la ragione è nella foto della Grande Crisi con picchi di diseguaglianza penetrati al cuore di un Occidente scosso da terrorismo e paure. E con una sinistra che ha fallito la prova della vita. Essendo nata per colmare ingiustizie immorali non ha colto l’opportunità che la storia le offriva. Prigioniera di vecchie soluzioni ha delegato regole e strategie. Con l’aggravio di un disarmo organizzato che ha trasferito il nocciolo della politica tra notabili e correnti. Ne scende il secondo ammonimento. C’è da rifondare una storia: pensiero e forma di un centrosinistra in asse col tempo e le utopie moderate di una platea sterminata di donne e uomini senz’altra dote che l’ansia di conquistare dignità e lavoro, o di essere riconosciuti per meriti e onestà. Stando così le cose la campana è suonata per tutti. Anche per quella sinistra nel Pd che se cammina sola perde di senso. Ci sono culture e vite da incontrare, fuori e dentro il partito più grande, perché nessuno basta a se stesso. E non è sufficiente rimpiangere l’Ulivo o evocare il socialismo europeo. Serve il coraggio di prendere il meglio da entrambi, mescolanza e senso di giustizia per ripartire dopo la crisi che ha scisso la storia tra un prima e un dopo. Posta così il monito finale deriva. Quel che succede fuori da noi, a cominciare dal voto grillino, non è protesta ma rappresentanza di parti di società che non abbiamo più saputo incrociare. Recuperare credito si può e sarà tra le prove che diranno chi siamo. Ma farlo implica svoltare. Non un ritorno al passato perché quello sì che porterebbe a farsi male. Neppure si può subire l’idea che il consenso si “compera” e non si conquista. Se lo acquisti può capitare l’onda buona e però sarà come latte di giornata, avrà scadenza. Conquistarlo il consenso costa fatica, ma radicherà passioni destinate a durare, e quando bisogna a mobilitarsi. E allora servono scelte nette e audaci. Una legge coi fiocchi e risorse contro la miseria. Serve che investi come nessuno su ricerca e studi di qualità. Serve che un muratore lo mandi in pensione prima che gli cedano le gambe sull’impalcatura. Serve alzare lo sguardo al mondo e dire che i migranti, oggi simbolo di tragedie, saranno la nostra salvezza. E che sui diritti umani delle donne una sinistra degna fonderà se stessa. Serve rovesciare lo schema del potere, saldando etica pubblica e selezione di classi dirigenti con la schiena dritta in ogni campo. Se Matteo Renzi crede in un’impresa simile – ricombinare democrazia, persona, diritti – svesta la mimetica e abbandoni il lanciafiamme perché un partito interamente nuovo va costruito, ma per davvero. Di mio resto convinto che è tempo di ponti tra noi e con la sinistra fuori da noi a cominciare dalla sfida nei ballottaggi. Correggersi è prova di maturità, sempre. Anche per il leader più giovane se vuole evitare di svegliarsi all’improvviso invecchiato molto prima del tempo.