venerdì 10 giugno 2016

l’amicone di Matteo
Repubblica 10.6.16
Tangenti Nigeria, convocato Descalzi la procura stringe sui manager Eni
L’ad risponderà con una memoria, saranno sentiti anche Paolo Scaroni e gli altri 5 indagati L’accusa è corruzione nelle gare per i pozzi nel Paese africano: pagato un miliardo
di Emilio Randacio

MILANO. Un invito a comparire fissato per questa mattina. A Milano, in una caserma, lontano dalla curiosità dei cronisti. Un «invito» che, l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha preferito declinare.
Tre giorni fa, i pm Fabio De Pasquale, Sergio Spadaro e Isidoro Palma, hanno firmato un documento di tre pagine in cui contestano al numero uno della multinazionale energetica italiana il concorso in corruzione internazionale e gli chiedono un interrogatorio per spiegare la sua posizione con contestazioni precise e circostanziate. Insieme a Descalzi, tra gli indagati ci sono anche il suo predecessore, Paolo Scaroni, i manager Eni, Roberto Casula - responsabile per il business nell’Africa -, Vincenzo Armanna, Luigi Bisignani - vecchia conoscenza di Mani Pulite e considerato «intermediario dell’affare» -, il manager Gianluca Di Nardo, oltre a tre cittadini nigeriani che avrebbero fatto da
trait d’union con le autorità del loro paese. Il destinatario finale della tangente da nove zeri, - sempre secondo quello che è il solco seguito in procura - sarebbe stato Daniel Etete, «rappresentante della società Malabu, titolare dal 1998 della licenza Nigeriana». Etete, a sua volta, avrebbe diviso la «posta» con l’ex presidente Jonathan Goodluck , e tre suoi ministri.
Il sospetto della procura - su questo filone indaga ormai da quasi due anni - è che i vertici di Eni «per ottenere (insieme alla olandese Shell, ndr) i diritti di esplorazione del blocco 245 - è scritto testualmente nell’invito a presentarsi - nella Repubblica nigeriana... concorrevano nel versamento in data 24 maggio 2011 di un miliardo e 92 milioni di dollari su un conto della Jp Morgan Chase di Londra».
Secondo i tre magistrati, la mega mazzetta sarebbe servita a far ottenere un trattamento di vantaggio a Eni e Shell, che si sono effettivamente accaparrati i diritti di esplorazione, ma «in violazione della riserva di quote alle società locali, a un prezzo vantaggioso e con benefici fiscali e di esclusiva nelle attività di sfruttamento dei pozzi petroliferi».
Del miliardo, 200 milioni sarebbero stati inoltre «retrocessi al fine di remunerare amministratori e dirigenti Eni e gli intermediari, Bisignani, Di Nardo e i tre cittadini nigeriani». L’invito formalizzato contro Descalzi, in realtà, è piuttosto sintetico. In questi ultimi mesi, però, il lavoro della procura è proseguito grazie anche alla collaborazione delle autorità nigeriane e di quelle olandesi, dove ha sede Shell. Descalzi - attraverso il suo legale, l’ex Guardasigilli Paola Severino ha fatto sapere che intende depositare una memoria per spiegare la propria posizione. In realtà, la mole di prove che i sostituti milanesi sono riusciti a ricostruire sarebbe enorme. In questi ultimi mesi, poi, uno degli indagati, Vincenzo Armanna, è stato ascoltato per ben quattro volte, e potrebbe aver ulteriormente chiarito la dinamica con cui è stata assegnata illecitamente la licenza nigeriana. Mentre il nuovo governo del paese africano, anche su spinta del Parlamento, sembra orientato a revocare il diritto di esplorazione di uno dei giacimenti più grossi mai scoperti.
Con il mancato interrogatorio del numero uno Eni - è comunque un diritto della difesa non presentarsi -, nei prossimi giorni in procura dovrebbero essere convocati anche gli altri protagonisti italiani della vicenda, per sentire la loro versione. Potrebbe essere uno degli ultimi atti dell’indagine che a luglio potrebbe terminare con un avviso di conclusione per l’attuale vertice del gruppo Eni. Descalzi ieri è volato a Potenza per avere «un incontro positivo» con i pm dell’altra inchiesta che coinvolge Eni, sul centro olii di Viggiano dissequestrato e che dovrebbe ripartire entro agosto.
Ieri l’amministratore ha incontrato il procuratore capo di Potenza per l’inchiesta su Viggiano