La Stampa 30.6.16
Quando Cioran sperava nei barbari di Hitler
Arrivano anche in Italia le prime opere dello scrittore romeno Un’esaltazione giovanile bruciata dal nichilismo della maturità
di Andrea Colombo
Un
eretico d’altri tempi. Sono passati 21 anni da quando morì Cioran. Il
suo pensiero è oggi più inattuale che mai: l’elogio del fallimento, lo
sprofondare cupo in un pessimismo cosmico, la misantropia, nell’epoca
dell’interconnessione globale e «social» di internet, ne fanno un’icona
maledetta, inutilizzabile e contraddittoria. In quel 20 giugno del 1995
il cervello dello scrittore romeno risultava corroso da una malattia
neurodegenerativa che lo aveva reso irriconoscibile. Lui, il «cavaliere
del nulla» che aveva esaltato la morte e il suicidio, si spegneva a sua
insaputa. Il maestro dell’aforisma portava con sé una marea di scritti,
molti dei quali rimasti inediti nella sua patria d’elezione, la Francia.
Soprattutto gli articoli e i libri del periodo giovanile, quelli degli
Anni Trenta, rimanevano in un cono d’ombra. Testi sotterrati per volontà
dell’autore stesso che aveva più volte preso le distanze dai suoi
furori ideologici giovanili, quando abbracciò, a modo suo, il nazismo.
Furore
Gli
editori d’oltralpe hanno negli ultimi anni colmato la lacuna
pubblicando sia la versione integrale del suo libro più controverso, La
trasfigurazione della Romania (1936), sia diverse raccolte di articoli
apparsi nelle riviste rumene dell’epoca. In Italia invece il Cioran
politico è ancora il grande sconosciuto. Come al solito sono le piccole
case editrici le uniche a riscoprirlo. Bietti annuncia che il prossimo
anno farà uscire La trasfigurazione della Romania. Voland ha già
pubblicato il pamphlet del 1941 Sulla Francia e a luglio manderà alle
stampe i brani inediti del Breviario dei vinti, ultimo scritto in romeno
vergato durante la seconda guerra mondiale, un testo che rappresenta il
momento di passaggio dal Cioran nazionalista al maestro del disincanto.
Sulla Senna
Sulle
rive della Senna, in una città occupata dai nazisti, lo scrittore si
rende conto che il suo fanatismo filofascista non era altro che
un’ennesima, pericolosa illusione. E allora si abbandona a quell’elogio
dello sradicamento che lo contraddistinguerà nei suoi scritti
successivi. Tuttavia rimangono alcuni barlumi del suo entusiasmo
estremista, come quando scrive che «la moderazione uccide il brivido
dell’esistenza». O quando osserva che «la morte, perlomeno, soddisfa la
curiosità. La tomba è preferibile allo sbadiglio».
Il Cioran
romeno suscita ancora oggi imbarazzo, eppure è fondamentale se si vuole
capire come si svilupperà la sua filosofia disperata e nichilista. Emil
nasce nella Transilvania austroungarica l’8 aprile 1911. Da studente
divora Schopenhauer, Nietzsche, Kierkegaard, Heidegger e Dostoevskij.
Nel 1928 si trasferisce a Bucarest. Vive in un piccolo appartamento mal
riscaldato in pieno centro e frequenta assiduamente i bar alla moda.
Cresce la fama di donnaiolo di quel giovane studente di filosofia, con i
capelli ribelli e gli occhi magnetici. Frequenta, con lo storico delle
religioni Mircea Eliade, il circolo della «giovane generazione», che
unisce le personalità più diverse, accomunate da un rifiuto verso la
società borghese e democratica. Nel maggio del 1933 pubblica il suo
primo articolo di rilevanza politica: Apologia della barbarie, in cui
esalta il caos che distruggerà la «decadenza» e il «marciume» della
modernità. Quale sarà il mondo nuovo che sorgerà dalle macerie? Cioran
non lo dice o meglio rimanda di qualche anno la sua proposta di
rinnovamento politico e sociale.
La Germania
Dall’autunno
del 1933 alla fine del 1935 soggiorna prima a Berlino e poi a Monaco,
grazie a una borsa di studio. Ed è qui, tra le parate delle camicie
brune e nell’atmosfera di entusiasmo dei primi anni del regime
hitleriano, che pensa di trovare un esempio di vitalità politica capace
di superare la decadenza delle democrazie. In alcuni articoli pubblicati
per la rivista «Vremea» scrive: «Non c’è alcun uomo politico al mondo
che mi ispiri una simpatia e un’ammirazione più grande di Hitler». E
afferma: «Abbiamo bisogno di una mistica, poiché non ne possiamo più di
tante verità che non sprizzano fiamme». Al ritorno in patria pubblica
La trasfigurazione della Romania
in
cui auspica che la sua patria rinasca forte, industrializzata e
aggressiva, temprata dal sangue di una rivoluzione. Se la prende con gli
ebrei, considerati elementi estranei alla nazione. «Se scoprissi di
essere ebreo - scrive - mi suiciderei». Allergico a ogni tipo di impiego
regolare, insegna filosofia in un liceo, senza troppa convinzione.
Nel
1937 si trasferisce a Parigi grazie a un’altra borsa di studio. Cioran
non ama lavorare ma scrivere sì. Tratta gli argomenti più svariati:
dalla Melencolia «tragica» di Dürer alla «presenza serafica» della
divina Greta Garbo. Quindi nel 1940 torna in Romania. In un discorso
alla radio tesse le lodi del leader della Guardia di Ferro Codreanu, ma
si sente franare il terreno sotto i piedi. Il fronte russo è vicino.
Cioran teme di essere richiamato alle armi. Lui, che ha cantato la
bellezza rigeneratrice della guerra, sceglie la fuga e scappa in
Francia. Qui inizialmente ottiene un incarico come consigliere culturale
d’ambasciata a Vichy, ruolo che dura però solo tre mesi. È considerato
un incapace dai suoi superiori, per di più inaffidabile politicamente.
Non ha nessuna dote diplomatica, odia le convenzioni ed è visto come un
anarchico fannullone. Disoccupato, conduce una vita ai margini, nella
Parigi bellica, fra i bordelli e i bistrot del Quartiere Latino.
Lo scacco
Il
suo Breviario dei vinti è la confessione di uno scacco, ma anche
l’inizio di una nuova vita. Da questo periodo oscuro Cioran si rialza a
fatica, a guerra finita. Si reinventa come intellettuale senza patria,
adotta la lingua francese, immerge nell’oblio le passioni di un tempo.
Dalle rovine delle ideologie nasce un sottile e raffinato scrittore. Il
tormento esistenziale che lo ha devastato e galvanizzato in gioventù
diventa uno stile estetico, un virtuosismo letterario. È un altro
Cioran, certo, ma perseguitato per sempre dalle ombre del passato.