giovedì 2 giugno 2016

La Stampa 2.6.16
La terza via dei dissidenti Pd in vista del voto di ottobre
di Marcello Sorgi

Si chiude con il lungo ponte del 2 giugno e con timori di forte astensione per domenica 5 la campagna elettorale dei sindaci e dei tre referendum. Se anche Renzi non avesse deciso di puntare sulla consultazione di ottobre per marcare il suo distacco rispetto a una tornata elettorale non certo promettente, per il Pd, la campagna sarebbe stata ricordata egualmente per l’intreccio tra il voto nei comuni e quello per le trivelle, celebrato e fallito ad aprile; per la Grande Riforma, previsto in autunno ma al centro di una discussione così dura che è difficile prevedere cosa accadrà alla vera vigilia delle urne, e sul Jobs act, lanciato dalla Cgil, per il quale è in corso la raccolta delle firme e che ha visto l’adesione a sorpresa del sindaco di Bologna Virginio Merola, candidato a succedere a se stesso.
Ancora ieri il ministro dell’Economia, a una domanda di Sky-tg24 ha risposto che in caso di vittoria del No sarebbe l’intero governo a dimettersi. Padoan - che ha confermato che la ripresa economica è in corso, ed entro certi limiti l’anno prossimo sarebbe realistico aspettarsi un taglio delle tasse, per incoraggiare la congiuntura positiva -, è il terzo membro del governo, dopo Renzi e Boschi, a parlare di crisi di fronte all’eventuale cancellazione delle riforme istituzionali nelle urne referendarie. E, dal suo punto di vista, ha aggiunto che la svolta verso l’uscita dalla crisi, durata oltre otto anni, è stata determinata anche dall’approvazione delle riforme e dalla realizzazione di gran parte del programma su cui il premier si era impegnato in Europa.
Anche se certo i risultati delle amministrative influiranno su tutto il quadro politico, le posizioni che si vanno delineando sul referendum costituzionale sono tre: una, appunto a sostegno del Si, è quella di Renzi e del governo, sostenuta dai comitati di cittadini in via di organizzazione e dai costituzionalisti e dagli studiosi che hanno scelto di opporsi ai loro colleghi che guidano lo schieramento avversario. La seconda, che ha alle spalle uno schieramento trasversale che va dall’estrema sinistra all’estrema destra, passando per Berlusconi, Salvini e Meloni, è per il No. Ma ce n’è anche una terza, in gestazione all’interno della minoranza Pd, al momento schierata in gran parte per il Sì, ma pronta a girare verso un Ni, se Renzi non aprirà alle loro richieste di chiarimento sul sistema elettorale dei futuri senatori e su una possibile modifica dell’Italicum: alla quale, si sa, il premier è dichiaratamente contrario.