La Stampa 27.6.16
Rodotà: quando i referendum diventano un boomerang
“L’errore di Cameron è stato usare la consultazione per fini politici, attenti a non ripeterlo anche in Italia”
intervista di Jacopo Iacoboni
«Questo
referendum è stato brandito da Cameron per ragioni interne al suo
partito, un uso del tutto strumentale di uno degli istituti
giuridicamente più delicati. Ma così facendo il referendum diventa - da
strumento di democrazia diretta e partecipazione - lo strumento
distorcente di un appello al popolo, peraltro un popolo disinformato. E
muore».
Professor Rodotà, la vicenda del referendum sulla Brexit -
e oggi i tre milioni di firme, il premier scozzese Sturgeon che prova a
fermare l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, e anche molti laburisti
che ricordano che dovrà comunque decidere un voto del Parlamento - ecco,
tutto questo logora definitivamente il mito della democrazia
referendaria?
«Una situazione analoga a quella attuale si creò in
Francia nel 2000, all’epoca del referendum sul trattato costituzionale.
Io, da estensore della Carta dei diritti fondamentali, partecipai a
quella campagna referendaria francese; ero a favore del sì, consapevole
dei limiti di quel testo, e mi trovai dinanzi anche tanti amici
socialisti francesi, gente con cui avevo collaborato alla stesura, che
mi dicevano “eh no, votiamo no perché Fabius...”, “eh no, votiamo no
perché l’idraulico polacco...”. Anche allora, come oggi in Inghilterra,
il referendum fu strumentalizzato neanche per interessi nazionali, per
interessi di un partito. È il primo punto da capire».
Qual è il secondo?
«Proprio
nella carta dei diritti, giugno ’99, ma anche nel Trattato di Lisbona,
si scrisse che fondamentale non è solo il “mercato comune”, ma la
costruzione di un “popolo comune” europeo. L’Unione avrebbe fallito se
fosse rimasta alle procedure economiche, senza creare procedure di
legittimazione popolare, cioè senza la politica. Il caso Grecia è stato
esemplare. Il principio di solidarietà, che è nel trattato di Lisbona, è
stato ridotto all’interesse nazionale; il “popolo comune” non è mai
nato».
L’informazione e il sistema dei media non sono stati
complici? Il referendum sulla Brexit è stato costellato di bugie
scandalose, si è lasciato dire a Johnson che in caso di uscita dall’Ue
in Gran Bretagna sarebbero calati d’un colpo i migranti di 350 mila
unità...
«Il referendum senza vera informazione è una distorsione.
I costituenti italiani erano stati più accorti, previdero una lunga
fase, dall’inizio della campagna referendaria e il voto, che
generalmente va da gennaio a giugno».
Il Labour ora si appella a
un voto del Parlamento, ma la strumentalizzazione di cui Cameron è stato
campione forse non ha lasciato del tutto indenne Jeremy Corbyn, troppo
silenzioso, non trova?
«Corbyn ha pensato che non gli conveniva
fare campagna dura per il Remain, perché in qualche modo il Remain
avrebbe vinto comunque, sia pure di poco, e lui non si sarebbe alienato i
voti dei più scontenti. Ma questo è un altro modo di strumentalizzare
il referendum, piegare un istituto delicatissimo a calcoli interni a un
partito».
Non pensa che bisogna essere meno ottimisti, a questo
punto, sull’idea di democrazia diretta, referendaria? In Italia questa
idea è agitata molto soprattutto dalla propaganda M5S.
«Io, tolto
quello del 2 giugno, i referendum li ho fatti tutti, e obiettivamente
c’è un degrado. Ci sono anche esempi di referendum positivi, che hanno
aumentato la partecipazione, penso a quello sull’acqua. Ma un referendum
male usato produce un effetto divisivo fortissimo: il rischio qui è
creare non uno, ma due popoli europei totalmente separati».
Andiamo
verso un referendum italiano in cui penso si scontrino due propagande,
quella di Renzi, palese, e quella del M5S, meno denunciata. È possibile,
in questo quadro, aspettarsi qualcosa di buono?
«Ormai l’ambiente
informativo è molto più sensibile alle suggestioni, e alla propaganda,
di quanto non fosse anche nel passato recente. Siamo, direbbe il titolo
di un bel libro di Emilio Gentile, in una Democrazia recitativa, in cui è
più la recita che l’informazione. In questo quadro il referendum, da
forma di democrazia diretta dei cittadini, si trasforma nell’appello al
capo e alla folla. Renzi ha commesso l’errore di cavalcare questo
quadro, che gli si può ritorcere contro».
Oltre al Capo, infatti, c’è la Folla informe, diceva Canetti.