martedì 21 giugno 2016

La Stampa 21.6.16
Cadono i santuari del Novecento
Gli elettori ormai lo fanno strano
Da Latina passata al Pd alla Toscana in cui si salvano i berlusconiani: lo schema destra-sinistra non regge più. E ai ballottaggi vince il M5S
di Mattia Feltri

Nei prossimi giorni leggeremo bei reportage sulla mitologia di Latina, nata Littoria il 18 dicembre del 1932, cinque mesi e diciotto giorni dopo la posa della prima pietra. Leggeremo dell’evocativa architettura razionalista e, forse, della stampa internazionale che esaltava il miracolo di rapidità ed efficienza del fascismo. Ripasseremo l’epica della bonifica dell’Agro Pontino e si cercheranno le ragioni della caduta di un santuario della destra italiana: sempre governata dai conservatori della Democrazia cristiana e nella Seconda repubblica dal Movimento sociale, da An, dal Popolo delle libertà, e ora finita nelle mani di liste civiche di sinistra scelte al ballottaggio dallo sproposito del settantacinque per cento dei votanti. Bisognerà poi occuparsi di Varese, la città di Umberto Bossi e di Roberto Maroni, persa dalla Lega dopo ventitré anni di dominio, e passata - sebbene di pochi voti - al Partito democratico. Che, distrutto a Roma e soprattutto a Torino - città governata a sinistra (o dal centrosinistra) dal 1970, quando il sindaco Giovanni Porcellana era appoggiato da democristiani, liberali e socialdemocratici - adesso comanda in tutti e dodici e capoluoghi lombardi, cioè il giardino di casa di leghismo e berlusconismo. Non c’è più una casamatta che resista. C’è Bologna, andata a sinistra ma soltanto dopo il ballottaggio, ed è meglio non dimenticare che gli ossessivi schemi mentali della nostra politica erano già saltati il 30 giugno del 1999, con la conquista di Palazzo d’Accursio da parte di Giorgio Guazzaloca, indipendente appoggiato da Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini.
La questione è persino ripetitiva. Milano resta a sinistra e lo choc dei berlusconiani si era già consumato la volta precedente, con l’affermazione di Giuliano Pisapia. Ora lo choc è tutto romano per l’arrivo dei barbari, un sequel dello choc dell’aprile 2008, giorno di primavera alla fine del quale i tassisti fecero corteo e saluto di clacson attorno al Campidoglio: il nuovo sindaco, subito ribattezzato podestà con umorismo non privo di pigrizia, era Gianni Alemanno: cosa mai più vista dai tempi del Duce. Siccome i riferimenti novecenteschi continuano a essere suggestivi, oltre che presi molto seriamente, verrà sottolineata la fine del dominio Pd a Sesto Fiorentino, e giustamente si ricorderà che era chiamata la Stalingrado d’Italia: e cioè il luogo della resistenza massima al fascismo, soprattutto a fascismo morto. Quantomeno Sesto è andata a liste della sinistra ancora più a sinistra. Fra l’altro sui giornali e sui social network si leggono le esultanze dei forzisti per periferiche affermazioni in Toscana: a Grosseto (periferica fino a un certo punto), a Montevarchi, a Cascina, «strappate alla sinistra», scrive Deborah Bergamini del declinante cerchio magico del declinante Berlusconi. Dunque, che senso trovare all’andamento della storia se la sinistra perde anche Savona, che è nella Liguria non più rossa perché governata da Giovanni Toti, ex direttore di Studio Aperto?
Quasi trent’anni fa, Umberto Bossi dava della Lega una definizione che poi è stata ripresa - che coincidenza - da Beppe Grillo per il suo Movimento: «Non sta a destra né a sinistra, sta sopra». In quei tempi, a cavallo fra la fine della Prima e l’inizio della Seconda repubblica, uno degli slogan era «fascisti o comunisti, purché leghisti». Gli obblighi di schieramento posti dal bipolarismo hanno poi imposto alla Lega di scegliere la destra, ma già allora si intuiva - e se ne è discusso per i restanti due decenni - la crisi della dialettica destra-sinistra, diventata presto stucchevole con le accuse incrociate di stalinismo e mussolinismo (incredibilmente rispuntate anche in quest’ultima campagna elettorale). E per due decenni abbiamo raccontato la caduta di questo santuario o di quell’altro e continuiamo ancora oggi che la dialettica nuova è piuttosto evidente non soltanto in Italia ma in tutta Europa: la partita, altra ovvietà ripetuta allo sfinimento, si gioca fra chi si fida delle istituzioni e chi non si fida più. Eppure a sinistra e soprattutto a destra, dove non c’è stata competizione con i cinque stelle, si esulta alle sconfitte dell’avversario. Il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, è felice di aver individuato «un avviso di sfratto» per Matteo Renzi che sarà notificato con la disfatta al referendum grazie alla «forza» dei grillini. Quel poco che resta del duello destra-sinistra si consuma per far perdere il vecchio nemico e si finisce col far vincere il nemico nuovo, il Movimento cinque stelle. Che, come la Lega di una volta, non si sente né di qui né da là, e non ha nemmeno l’impiccio del bipolarismo.