La Stampa 21.6.16
Nel 2015 record di sfollati
Più della popolazione italiana
Il rapporto Unhcr: 65,3 milioni di persone costrette alla fuga
di Giordano Stabile
Sarah
ha 38 anni, sette figli. Solo due vanno a scuola. La maggiore l’aiuta
nei campi lì vicino, nella valle della Bekaa, per la raccolta della
frutta e verdura. Guadagna 4 dollari al giorno ma 50 se ne vanno per
l’affitto della tenda dove vive. Ci ha ricavato due stanze, un cucinino e
quella dove dormono tutti assieme. Il marito è morto in guerra in
Siria. Sarah è stata registrata come rifugiata in Libano ed è entrata a
far parte dei 65,3 milioni di persone costrette alla fuga dalla propria
casa nel mondo. La sua casa, vicino ad Aleppo, è stata distrutta in un
bombardamento. Lei ci tornerebbe, «anche sotto una tenda», ma non
può.
Il 2015 è stato l’anno più drammatico per i rifugiati nel mondo. Il
rapporto dell’agenzia dell’Onu Unhcr, uscito ieri, fotografa il più
imponente aumento di «migranti per forza» dal dopoguerra: a fine anno
c’erano 3,2 milioni di persone che erano in attesa di decisione sulla
loro richiesta d’asilo nei Paesi ricchi (il più alto totale mai
registrato), 21,3 milioni di rifugiati (1,8 milioni in più rispetto al
2014), 40,8 milioni di sfollati interni al proprio Paese, in aumento di
2,6 milioni rispetto all’anno prima.
Significa, fa notare l’Unhcr, che
nel mondo oggi una persona su 113 è stata costretta a lasciare la
propria abitazione. E che, ogni minuto, altre 24 persone devono fuggire.
Nel 2005 erano solo sei.
L’accelerazione è dovuta alla tragedia
siriana, ma non solo. Dalla Siria sono fuggiti in 4,9 milioni,
dall’Afghanistan in 2,7, dalla Somalia 1,1 milioni. Poi ci sono gli
sfollati interni: Colombia, 6,9 milioni, ancora Siria, con 6,6 milioni,
l’Iraq, 4,4 milioni, ai quali vanno aggiunte le centinaia di migliaia in
fuga da Ramadi nei mesi scorsi e da Falluja ancora in questi giorni. Ma
è nello Yemen che sono aumentati di più: 2,5 milioni in un anno, il 9%
della popolazione. Un’altra guerra dimenticata che rischia di travolgere
l’Europa.
«Sfollato interno» è spesso preludio di rifugiato all’estero.
E allora deve preoccupare, oltre alla Siria, l’Iraq, altro Paese
confinante con la Turchia, lo Stato che ne ospita di più al mondo e che
fa da camera di compensazione con l’Unione europea: 2,5 milioni di
rifugiati, quasi tutti siriani. E poi c’è il Libano che invece ospita il
più alto numero di rifugiati rispetto alla popolazione, 183 ogni 1.000
abitanti. Dal Libano, dove ha visitato i campi dei siriani, la
presidente della Camera Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr dal 1998 al
2012, denuncia la «trappola» in cui si trovano le persone di buona
volontà in Europa, strette fra l’urgenza di accogliere più persone e la
paura che questo alimenti reazioni di xenofobia.
È il dilemma dei Paesi
occidentali, che l’anno scorso hanno ricevuto un numero record di
domande di asilo, oltre due milioni. In testa c’è la Germania, 441.900
richieste, poi gli Stati Uniti, 172 mila. In Europa segue la Svezia, 156
mila. In Italia sono state 83 mila. Numeri risibili rispetto a quelli
del Libano, anche se in Libano arrivano popolazioni «cugine», della
stessa cultura, della lingua araba, addirittura dello stresso
dialetto.
Resta il dilemma europeo. «Invece di una ripartizione degli
oneri, vediamo la chiusura delle frontiere - conferma Filippo Grandi,
alto commissario Onu per i rifugiati -. E le organizzazioni umanitarie
come la mia sono lasciate ad affrontarne le conseguenze, mentre allo
stesso tempo lottano per salvare vite con budget limitati. Ma abbiamo
anche assistito a slanci di generosità: da parte delle comunità di
accoglienza, di singoli individui e famiglie che hanno aperto le loro
case».