La Stampa 20.6.16
La rivincita delle periferie nella città che ha cambiato pelle
L’onda
dei 5 Stelle ha spezzato il patto tra sinistra e borghesia Gli
imprenditori: “Chi vota sa cosa vuole, non siamo spaventati”
di Andrea Rossi
E
così la periferia (non solo geografica) si è mangiata il centro. S’è
fatta onda, rivalsa, orgoglio, anche rivolta. L’ha travolto e con lui ha
spazzato via il «sistema», quel patto tra capitale, grande borghesia
cittadina e gli eredi del Pci che ha governato Torino negli ultimi
ventitré anni. Trasformandola: sapere, turismo, cultura. La rivoluzione
suona come un risveglio improvviso: una parte consistente di città si è
sentita tagliata fuori da due decenni di travolgente cambiamento, ha
visto approdare opportunità e investimenti ma sente di non averne
sperimentato i benefici. Soprattutto - ed è la chiave del ribaltone - ha
smesso di credere che un domani non molto lontano avrebbe fatto parte
di questo cambiamento. E ha deciso di fare da sé: Fassino ha stravinto
nel centro storico (59 a 41), ma solo lì; la periferia, specie a Nord,
l’ha sommerso: 64,5% a 35,5 per Appendino nella quinta circoscrizione,
Vallette e Borgo Vittoria; 63% a 37 nella sesta, Barriera di Milano.
«Poveri dimenticati»
Don
Adelino Montanelli, il parroco di Falchera, l’ultimo avamposto Nord di
Torino, ha visto nascere e prendere corpo questo sentimento. «La povera
gente si è sentita dimenticata. Quando è arrivata la crisi siamo stati
travolti. Tutti chiedevano una mano, ma qui le risorse sono poche, la
povertà rosicchia la pelle. Ho visto cinquantenni trasferirsi, con i
figli, a casa dei genitori anziani».
Mentre si moltiplicavano le
code fuori dai musei e i turisti sfondavano il muro dei 4 milioni -
quasi quanto gli abitanti dell’intero Piemonte - esplodevano gli sfratti
per morosità, da 1500 a 4600 l’anno in un quinquennio. Così sono nati i
palazzoni sventrati e le occupazioni. Così un simbolo delle Olimpiadi,
l’ex villaggio atleti al Lingotto, è stato invaso da un migliaio di
profughi, umanità sbarcata sulle coste e parcheggiata in attesa di
futuro. Quei caseggiati sbrecciati sono diventati una cartolina: del
lato oscuro delle Olimpiadi, della faglia sociale che si è aperta in
città, meta di proteste e speculazioni, così come, sull’altra sponda
della città, i campi nomadi abusivi. Dramma umanitario e incubo per i
residenti, stremati da degrado e microcriminalità.
Il vento ha
cominciato a soffiare. Alle politiche del 2013, nei quartieri in
difficoltà, Pd e Cinque Stelle viaggiavano quasi appaiati. Ora, al primo
turno, Fassino ha superato il 50% solo nel centro storico. Un segnale:
l’ultimo segretario dell’ex partito comunista che arranca nei quartieri
popolari, costretto a fare affidamento su quel pezzo di città che più ha
beneficiato della mutazione di Torino. Quel centro dove si fa la coda
fuori dai musei; la Crocetta del Politecnico e della Compagnia di San
Paolo, dove siede Francesco Profumo, che da rettore voleva candidarsi a
sindaco ma si fece da parte per lasciare campo libero a Fassino, il
quale poi l’ha voluto alla guida di Iren e della Compagnia. Una
fotografia del «sistema»: virtuoso per tanti, detestato da molti.
La mappa del potere
Un
patto che ha pochi precedenti tra classi dirigenti - politica, finanza,
impresa, università, cultura - disposte a collaborare per dare
un’impronta alla città. Cinque anni fa molti volti di questo mondo erano
seduti in prima fila mentre Piero Fassino annunciava la sua
candidatura. C’erano Enrico Salza, il papà di quel patto, l’allora
presidente della Compagnia Benessia, il Sovrintendente del Regio
Vergnano, il prorettore dell’Università, Evelina Christillin, l’allora
presidente degli industriali. Non c’era Marco Boglione, imprenditore,
fondatore della BasicNet, spesso corteggiato ma sempre e volutamente ai
margini. «In questi giorni mi chiedevano se ero spaventato. Non lo sono.
Questa è una città che sa che cosa vuole. L’ha fatto vent’anni fa,
interrogando la sua crisi e progettando, con successo, la propria
vocazione in un mondo diverso. L’ha fatto oggi: ha avvertito nuove
esigenze e ha pensato che una forza nuova potesse affrontarle con piglio
diverso».
Il «sistema» si è liquefatto. Fassino è stato lasciato
solo quando la battaglia si è fatta dura. Intorno a lui prendeva corpo
la narrazione delle due città, già emersa in studi, ricerche e negli
allarmi del vescovo Nosiglia: la Torino che sfavilla e quella che
soffre. Ma anche la Torino che cerca di conservare meccanismi, grumi di
potere e alleanze contro quella che finora si è sentita tagliata fuori.
Chiara Appendino non è stata la prima a rivolgersi agli esclusi. Però è
stata la prima a ricevere una risposta.