La Stampa 1.6.16
Elena, la vita dopo l’anoressia:
“Dalla malattia si guarisce ora aiuto chi ancora soffre”
Il libro di una studentessa novarese: è peggio della droga
di Ivan Fossati
E la notte sembra non finire mai, dice la mamma ora che l’incubo è quasi alle spalle. Parole sussurrate mentre accarezza la figlia che racconta la sua storia. In due ore si commuoverà solo una volta, parlando degli amici che sono spariti. E delle compagne della squadra agonistica di nuoto sincronizzato che le hanno torturato l’animo coi messaggi WhatsApp.
Elena ha 21 anni, vive a Lesa sul Lago Maggiore e ha ritrovato la vita grazie ai medici del Niguarda («esperienza durissima») e al supporto dell’équipe Jonas di Varese. Alta un metro e settanta, a 16 anni pesava 52 chili con un fisico splendido. A 17 si è ridotta a 37 kg, sei mesi dopo erano 36 e i battiti cardiaci 30 di giorno e 25 di notte. Ha visto in faccia la morte, l’ha anche cercata ma - racconta - non ha avuto il coraggio di averla. Ha preferito annientare il corpo, voleva essere trasparente, affinché tutto passasse attraverso. Era accecata dal sentimento per un ragazzo che all’inizio la coccolava, poi l’ha azzerata. Non la voleva più. «Andavo bene solo fisicamente, e mi bastava». Quando è venuto meno anche l’ultimo legame, lei se l’è presa con il suo corpo. «Ho odiato il fisico che si era fatto ripudiare. Ho deciso di distruggerlo».
Elena Ventura adesso sta meglio, ma la notte non è ancora finita. Pesa 44 chili, vorrebbe arrivare a 48, numero che per ora le fa paura. «Mi spaventavano anche i 44, prima. Siamo onesti, a nessuno piace ingrassare. Ho capito che dovevo farlo quando un giorno in un negozio il cervello si è risvegliato incrociando uno specchio».
Era in cura da un nutrizionista di cui si faceva gioco. Lui la pesava vestita, a patto che si presentasse con gli stessi abiti. E lei lo fregava. Supporti di ferro intorno alla vita e dentro il reggiseno e litri di acqua ingurgitati prima della visita. È un’amica di famiglia, medico, a far scoprire l’inganno. «Io credevo a quel peso che migliorava - racconta mamma Barbara -, era l’inconscio. Poi mi hanno aperto gli occhi, una sera arrivo a casa e la obbligo a pesarsi nuda, lei si rifiuta. La trascino sulla bilancia: la mia amica aveva ragione. I chili erano 37, non 41 come dal nutrizionista».
Elena sorride: «Pensavo mi scoprissero subito, invece sono andata avanti mesi a prenderli in giro». Entra al Niguarda per un consulto e non la fanno più uscire. «Mi mettono su una carrozzina e dicono “adesso non alzarti più”. Io li guardo stralunati, sei giorni prima avevo fatto le finali nazionali di nuoto sincronizzato». Un mese ricoverata, potenti farmaci la notte per evitare che il cuore si fermi, altri sei in day hospital: «Mi mettevano all’ingrasso come un vitello. Io passavo ore a fissare il vuoto».
Elena non ha paura di chiamare per nome la malattia: «È anoressia. I disturbi dell’alimentazione uccidono i giovani più dei tumori e della droga. Per affrontarli bisogna conoscerli». Ecco il punto, Elena ha deciso di uscire allo scoperto. Ha pubblicato un libro di memorie autofinanziato («Ana bahebak», «Ti amo» in arabo) ma senza alle spalle una casa editrice forte è rimasto per pochi intimi. Invece, le è bastato pubblicare una foto choc sul profilo Facebook, scattata quando il fisico era distrutto, ed è passata in un attimo da 500 a 5.000 amici. Nessuno l’ha criticata. Tanti le hanno fatto i complimenti per il miglioramento, tantissime (coetanee o mamme) le hanno chiesto aiuto. E lei a questo voleva arrivare. Ora che sta meglio, in attesa di iniziare l’università dopo il diploma di due anni fa al liceo Fermi di Arona, vorrebbe aiutare gli altri.
Vorrebbe dire al mondo che di anoressia ci si ammala e si muore, ma si guarisce anche se intorno a te hai le persone giuste.