La Stampa 11.6.16
Davigo contro l’Anac
Ma Renzi difende Cantone
“Non avremmo fatto Expo”. Battibecco al convegno dei giovani industriali
di Francesca Schianchi
«Non
dico inventiamo un talk show, ma proviamo a scambiarci qualche botta e
risposta». All’indomani dei fischi della Confcommercio, il premier
Matteo Renzi si affaccia in un’altra platea di categoria. E qui va molto
meglio: dai giovani di Confindustria riuniti in faccia al mare
scintillante di Santa Margherita Ligure il clima è disteso, i coetanei
del presidente («ci diamo del tu?») lo ascoltano attenti e lo
interrogano senza fargli domande cattive (l’unica, forse, su che fine
abbia fatto la spending review); Renzi scherza, fa battute, evita
accuratamente il tema amministrative, spazia dal referendum «spartiacque
per capire se il Paese sia governabile o meno» all’accordo Ttip con
l’America che «non sono sicuro che si faccia» alla «non augurabile»
Brexit che comunque a noi «porterebbe turbolenze sul breve periodo, ma
non sarebbe una sciagura».
Fino all’Anac e al codice degli
appalti, l’unico tema di polemica a distanza con un altro ospite del
convegno dei pulcini di Confindustria, il presidente dell’Anm
Piercamillo Davigo, col quale Renzi ha già avuto fibrillazioni in
passato. Nella stessa sala, in mattinata, il magistrato sottolinea
infatti come l’Anac, l’autorità anticorruzione guidata da Raffaele
Cantone, abbia poteri che «non c’entrano con la repressione della
corruzione» («non è un ente inutile», ma «se si fa passare l’idea che
combatte la corruzione si fa passare una cosa che è impossibile»), e «il
codice degli appalti è roba che non serve a niente», perché «da anni si
fanno normative sugli appalti con regole sempre più stringenti che
danno fastidio alle aziende per bene e non fanno né caldo né freddo alle
imprese delinquenziali». Una posizione riportata sotto forma di domanda
al premier (accompagnata da un applauso) da una giovane imprenditrice
cosentina: «Rispetto tutte le opinioni, ma penso che l’Anac di Raffaele
Cantone sia particolarmente utile. Se non ci fosse stata Anac, non
saremmo intervenuti su Mose e Expo, centinaia di appalti sarebbero
finiti in un vicolo cieco», risponde lui. E ancora, il codice degli
appalti «mi sembra un passo avanti, non indietro. Le regole le stiamo
cambiando: siamo sempre pronti a fare meglio, ma bisogna valorizzare
quel che di buono c’è oggi».
Valorizzare, crederci, «smetterla di
remare contro al Paese, perché tutti noi dobbiamo fare di più, ma
qualcosa s’è messo finalmente in moto». E’ quello che predica Renzi,
incoraggiato quando «vedo i risultati di questi primi due anni» e invece
«c’è sempre qualcuno che si alza e quasi si vergogna» tra «i miei»:
«Abbiamo cambiato l’articolo 18? Eh non dirlo che ci resta male Landini…
Con la legge elettorale al ballottaggio vince il M5S o la destra si
riorganizza? Può succedere: si chiama democrazia. Non abbiamo paura: se
sei credibile vinci», e poi governi, insiste, «senza le ammucchiate del
giorno dopo». E senza paura di una svolta autoritaria: «Sarebbe l’unica
dittatura in cui il presidente del consiglio non può cambiare i
ministri». Rigetta la «frase molto ingiusta» secondo cui «dicono che
metto i miei amici in posti di responsabilità», esorta a «non discutere
se la ripresa c’è o meno, ma mettersi a lavorare», promette «uno Stato
alleato». E davanti ai risolini della sala sull’impegno a terminare la
Salerno-Reggio Calabria, sorride: «Lo faremo, non ridete, preferisco i
fischi alle risate…».