La Stampa 10.6.16
La più grande industria è il riciclaggio di denaro
Alcune grandi banche hanno finanziato narcotraffico e mafie pagando solo multe
di Antonio Maria Costa
Europol
ha pubblicato l’elenco dei criminali più ricercati in Europa; Interpol
ha aggiornato gli Avvisi Rossi. Entrambe agenzie individuano i grandi
nemici della società: terroristi e mafiosi. Nei due elenchi non appaiono
altri pericoli pubblici, per esempio i responsabili di reati concepiti
in grattacieli vetro e acciaio.
Reati perpetrati davanti a ettari
di schermi policromatici BenQ, con grafici e tabelle. L’elenco di questi
crimini spaventa: manipolazione dei tassi di cambio e d’interesse,
riciclaggio, frode, falsa fatturazione, evasione fiscale, aggiotaggio,
vendita di derivati tossici, schemi a piramide Ponzi, violazione delle
sanzioni, rischi eccessivi coi risparmi altrui, abuso dei mutuatari - e
naturalmente, usura. Delitti che generano un enorme bottino (calcolato
freddamente, valutando rendimenti attesi contro l’eventuale penalità),
sottratto a un enorme numero di vittime. Secondo le Nazioni Unite la
crisi del 2008, frutto della speculazione finanziaria, è costata 1.100
miliardi di dollari in termini di occupazione e produzione persa, e ha
estorto ai tesori nazionali 430 miliardi di dollari per assistere (a
volte, nazionalizzare) le istituzioni fallimentari.
«Occorre
evitare nuove crisi, risarcire le vittime, e punire i colpevoli» - così
ha pensato l’opinione pubblica dopo il collasso, auspicando riforme,
sanzioni, incarcerazioni. È andata diversamente.
Alcune riforme
hanno fortificato il sistema, ri-capitalizzato le banche, resa più
affidabile la loro liquidità. Ma in Europa, l’unione bancaria (gemella
dell’unione monetaria) rappresenta lavoro in corso: la singola
supervisione (della Bce) è opaca; la singola risoluzione (dalle
bancarotte) è complessa; la singola assicurazione (sui depositi) è
incerta. Negli Usa la legislazione Dodd-Frank rafforza responsabilità e
trasparenza bancaria, per proteggere i risparmiatori. Eppure, dopo
l’entusiasmo iniziale, diversi articoli sono stati abrogati dal
Congresso, e l’elemento centrale (la separazione tra banche commerciali e
quelle d’affari) non è ancora promulgato. Le sanzioni imposte?
Globalmente, circa 270 miliardi di dollari, pari a una modesta
percentuale dei profitti annuali delle banche. Di incarcerazioni neanche
a parlarne: alcuni operatori marginali sono sotto processo, ma nessun
presidente, amministratore o consigliere è alle sbarre.
C’è di
peggio. Durante la crisi, la grande illiquidità generata dal crollo dei
prestiti interbancari ha fornito alla criminalità organizzata (ricca di
contante) l’opportunità di penetrare il sistema finanziario. «Non è la
mafia a cercare la finanza, ma viceversa», mi dice un magistrato
dell’antimafia. Le prove abbondano. Negli Usa la Wachovia Bank ha
riciclato 380 miliardi di dollari del cartello messicano di Sinaloa
negli anni 2006-10. Nel 2014, grazie alla «procedura differita» offerta
dal Tesoro Usa, gli amministratori evitano sanzioni promettendo di «non
ricadere nel reato in futuro». La banca è multata di spiccioli: 160
milioni di dollari, pari al 2% del profitto annuale.
Similmente la
più grande banca in Europa, la londinese Hsbc, ammette di avere
riciclato miliardi di narco-reddito, e dozzine di altri crimini. Paga
l’ammenda (2 miliardi), evita conseguenze penali e mostra l’ipocrisia
che caratterizza la lotta alla droga. Un giovane con qualche grammo di
droga in tasca finisce in galera; banchieri che agevolano traffici a
tonnellate si godono yacht e jet privati.
Ma c’e’ d’altro ancora.
Il presidente Renzi, indispettito per i commenti tedeschi sulle banche
italiane, ribatte: «ma che pensino alle loro!» In effetti, la vera bomba
nucleare nel cuore dell’Europa è la Deutsche Bank. Con 2 mila miliardi
di capitalizzazione (la maggiore nell’Eurozona), è sotto inchiesta per
reati in tutto il mondo: manipolazione del tasso Libor (in Inghilterra),
riciclaggio di denaro (Russia e Messico), finanziamento al terrorismo
(nel Golfo), violazione dell’embargo (Iran), collaborazione con
giurisdizioni canaglia (nel Pacifico), falsificazione del rischio
(Francia), vendita fraudolenta di strumenti «derivati» tossici (Usa) e
così via.
A questo punto, il pubblico chiede: perché le banche
sono salvate dal contribuente, e i banchieri sono salvati dalla galera?
Ora sappiamo la risposta. I crimini finanziari non sono il risultato
delle azioni di pochi avidi banksters, ma «il prodotto di una cultura
finanziaria che ha perso la bussola morale - avvelenata da frode,
avidità e azzardo». Questo dice il governatore della Banca d’Inghilterra
Mark Carney. Per rimediare, occorre porre fine alla collusione tra
politica e finanza, che non è solo corruzione (politici disonesti
comprati dal capitale), ma è inter-dipendenza fra tesori nazionali e
banche private, entrambi in dissesto: un contratto di reciproca difesa,
che mira a conservare il potere di entrambi.
Una situazione
irrimediabile? Senz’altro no. Per restituire alle banche il ruolo di
mediazione tra risparmiatori e investitori, occorre convertirle in
aziende private di pubblica utilità (come acqua e elettricità),
specializzate e tassate per disincentivare decisioni lucrose a breve,
sconsiderate a lungo. Papa Francesco ha tracciato la via, ricordando la
relazione enigmatica di Cristo con il denaro: «nel Tempio nostro Signore
scaccia i cambia-valute che speculano; nelle parabole loda chi bene
investe i talenti».