Il Sole 2.6.16
Sbarchi e voto, i rischi delle opposte demagogie
di Paolo Pombeni
Forse
qualcuno ha pensato che per vivacizzare una campagna elettorale stanca
potesse essere utile buttarsi sull'argomento più «di pancia» fra quelli a
disposizione della polemica spicciola: lo spauracchio di una invasione
di migranti. Il calcolo, prima che meschino, è sbagliato, perché prepara
comunque un disastro anche per coloro che lo agitano nella speranza di
raccattare voti. Infatti basterebbe riflettere sul fatto che un fenomeno
storico come le migrazioni di massa non è contenibile per capire che
poi la gente ne chiederà conto a chi prometteva di fermare i flussi e si
troverà poi a non riuscire a governarli.
Le nostre città hanno
problemi enormi, nessuno dei quali ha soluzioni semplici. Abbiamo
sentito agitare slogan come città senza immondizia, ma senza che ci sia
bisogno di inceneritori o discariche. Bella utopia, non fosse che
qualsiasi persona può misurare quanti rifiuti ciascuno di noi deve
inevitabilmente produrre nel flusso della vita quotidiana, per
comprendere come quella sia semplicemente una missione impossibile.
La
gestione dei flussi migratori rientra indubbiamente fra questi grandi
temi di difficilissima gestione, per cui almeno su questo terreno un po'
di sana convergenza fra tutti sarebbe quanto mai opportuna. Gli
estremi, da quelli «buonisti» che vedono tutto risolto con un po' di
ardore nell'accoglienza, a quelli reazionari che illudono la gente che
si potrebbe se non bloccare la migrazione, almeno disincentivarla
pesantemente, propongono soluzioni possibili in un mondo che non c'è.
La
demagogia è in politica una pessima consigliera, perché è davvero
l'anticamera del sonno della ragione che genera mostri. Per affrontare
problemi epocali di questa portata c'è bisogno di una solidarietà
soprattutto nella gestione degli strumenti per affrontare le emergenze:
evitare che si formino enclave di reietti abbandonati a sé stessi e al
non far nulla, premere sull'Europa perché prenda in carico il fatto che
non si possono ridurre alcuni stati a colli di bottiglia in cui far
concentrare gli arrivi, studiare forme di inserimento compatibili con
una ragionevole difesa degli equilibri sociali esistenti sui territori.
Tutte
cose che già non sono facili da dire, ma che sono ancora più difficili
da realizzare. In ogni caso problemi che devono essere affrontati
congiuntamente dalle varie articolazioni dei poteri pubblici: governo
nazionale e governi locali, ma anche le varie agenzie dello stato
(polizia, magistratura, sanità, ecc.) e le organizzazioni della società
civile. Già evitare che la vicenda dei migranti diventi una occasione
per la spartizione di «spoglie», cioè di risorse pubbliche, è un
obiettivo che non va sottovalutato.
Nella campagna delle
amministrative di questi temi si è parlato poco in senso responsabile,
come del resto di tanti altri interventi urgenti. Una campagna a base di
rincorse alla delegittimazione reciproca grazie a rinfacci sulla base
di generici rinvii a stereotipi da vecchia politica non ha aiutato sin
qui. Il riaccendersi però dell'emergenza degli sbarchi, un po' per
fattori stagionali, un po' per la chiusura della rotta balcanica ha
ridato fiato a tutte le speculazioni. Travolta da immagini quotidiane
fortemente emotive l'opinione pubblica tende facilmente a spaccarsi e ad
innamorarsi di soluzioni improbabili altrettanto emotive. Una politica
che si illuda di cavalcare tutto questo per combattere la propria
debolezza propositiva è però una politica che non capisce che sta
facendo un pericoloso patto col diavolo.