Il Sole 22.6.16
Forum al SOLE 24 ORE
A confronto Pier Carlo Padoan, Ignazio Visco, Romano Prodi, Mario Monti, Carlo Messina
Brexit o no, l’instabilità è il prezzo da pagare e l’Italia rischia di più
Padoan: anche per il G20 Brexit è uno shock globale per la crescita
«Brexit
è un problema a livello globale. Il G20 lo ha incluso fra i possibili
shock che potrebbero generare il rallentamento del quadro economico
globale». Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan evidenzia la
portata sistemica del rischio che la Gran Bretagna, con il referendum di
giovedì, abbandoni l’Unione europea. Nessuno lo vuole nascondere:
l’Italia, inserita nel quadro comunitario con le sue debolezze
strutturali e le sue fragilità politiche, corre non pochi rischi.
Il
Sole 24 Ore ha organizzato un forum su Brexit e i suoi effetti con
Padoan, il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco,
l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Carlo Messina, il due volte
presidente del Consiglio e già presidente della Commissione europea
Romano Prodi e l’ex presidente del Consiglio e due volte commissario
europeo Mario Monti.
Da questo forum – avvenuto nelle redazioni di
Milano e di Roma e in videocollegamento con Londra e Bologna – è emerso
un quadro articolato e preoccupante.
Con Brexit, ogni cosa
cambierà. Qualunque sia il risultato, l’Unione europea non sarà più
quella che abbiamo finora conosciuto e in cui abbiamo finora vissuto.
Non solo l’uscita della Gran Bretagna produrrà un mutamento radicale.
Anche un risultato favorevole al “Bremain”, per come la Gran Bretagna ha
negoziato il mantenimento della sua partecipazione prossima ventura al
consesso comunitario, apporterà significativi cambiamenti.
IL SOLE
24 ORE - Dottor Messina, vorremmo cominciare da lei che, in questo
momento, si trova a Londra. Che aria tira nella capitale britannica?
MESSINA
- La mia percezione è che, sul referendum inglese, gli investitori si
dividano in due tipologie, caratterizzate da due distinti atteggiamenti:
gli investitori più speculativi, per esempio quelli che hanno una
logica più vicina agli hedge funds, hanno una visione molto negativa e
hanno preso posizioni non solo sulla specifica questione di Brexit, ma
anche più in generale contro l’Europa e contro la capacità dell’Europa
di avere un ruolo nel futuro. Puntano sostanzialmente contro la tenuta
dell’Europa. Poi, c’è un’altra classe di investitori di più lungo
periodo, che in qualche maniera determinano e assecondano i quadri e le
correnti più strutturali. Questi investitori di lungo termine hanno una
prospettiva più positiva. E ce l’hanno anche se, nel caso di Brexit,
prevedono un calo di dividendi e di flussi di reddito: pensano che una
ipotetica realizzazione di Brexit sarà comunque gestibile dal punto di
vista delle dinamiche dei loro portafogli.
IL SOLE 24 ORE - Qual è il rapporto fra Brexit e la tenuta in generale dell’edificio europeo?
MESSINA
- L’attenzione prevalente dei mercati e della comunità degli
investitori istituzionali è più concentrata sull’Europa che non sulla
Gran Bretagna. Sotto questo aspetto, va detto che permane un forte
scetticismo sulla capacità politica di gestire tematiche complesse in
seno all’Europa. Non vedono colpi di reni, appunto di natura politica e
istituzionale, dell’Europa in reazione a Brexit. L’unico soggetto al
quale i così detti “mercati” e gli investitori istituzionali riconoscono
una visione e una capacità di creare valore è la Bce, in particolare il
suo presidente Mario Draghi. Comunque vada il voto di giovedì su
Brexit, si è creato un vulnus: una ferita inferta non soltanto al
meccanismo di permanenza nella Ue, ma in generale all’idea e alla prassi
dell’euro. In un contesto così complicato, ho l’impressione che le
maggiori correnti contro l’Europa nascano nel mondo più collegato agli
Usa. Anche perché, negli Usa, serpeggia un atteggiamento che vede
l’Europa meno forte senza la Gran Bretagna. Non mi sorprende che alcune
banche americane siano pronte a lasciare Londra. So che si parla di
Francoforte o Milano come alternativa. Mi sento di dire che sia giusto
che Milano provi a giocarsi tutte le carte, ma non vedo possibile che
diventi la piazza finanziaria europea.
IL SOLE 24 ORE - Ministro
Padoan, uno dei rischi maggiori di Brexit, sottolineato da più parti, è
quello dei fenomeni emulativi da parte di altri Paesi europei. L’Italia è
al riparo da questo rischio? Abbiamo sentito le sue ultime
dichiarazioni in cui escludeva rischi specifici per l’Italia. Perché?
PADOAN
- Voglio subito fare chiarezza, su una questione così dirimente. Quando
ho detto che non c’erano rischi specifici, mi riferivo al piano
finanziario, non mi riferivo a quello politico. In queste settimane
abbiamo letto numerose analisi sull’impatto di una Brexit per i paesi
periferici dell’Unione europea, sia sul lato dei debiti sovrani sia
sull’equity. Tutte queste analisi hanno evidenziato come esista una
forte instabilità. Ma quello che io temo di più è l’emulazione politica
che potrebbe manifestarsi non tanto in alcuni Paesi, quanto in alcuni
partiti all’interno dei Paesi. Di questo sono preoccupato: con questo
referendum si realizza un modello di uscita dall’Unione all’interno
delle regole che altri Paesi potrebbero seguire. Ci sono punti di
biforcazione, per usare un termine un po’ tecnico, in vari Paesi, perché
ci sono elezioni importanti. Questo avviene in un clima nel quale c’è
più fluidità politica e, aggiungo, un clima nel quale le scelte
politiche ed elettorali hanno molto a che fare con le opzioni europee.
Quindi si combinano vari elementi che mi portano a dire che, se c’è la
Brexit, c’è un esempio e io dico che sarebbe un cattivo esempio. Ma è
sempre un esempio che potrebbe essere concretamente replicato oppure
potrebbe esserci anche soltanto la tentazione di replicarlo da parte
degli altri Paesi.
IL SOLE 24 ORE - Governatore Visco, Brexit o non Brexit, nei fatti si va comunque verso un’Europa a due velocità?
VISCO
- È già un’Europa a due velocità. Il punto è capire come realizzare una
convergenza. Io distinguerei tra il breve e il lungo periodo. Nel breve
periodo è molto probabile che se la Gran Bretagna uscisse dall'Unione
europea, si vedrebbero conseguenze sui mercati finanziari. Ma le banche
centrali sono pronte a fare la loro parte per ridurre gli effetti
negativi. Sia la Bce, sia la Bank of England. Se si creasse un difetto
di liquidità nei mercati, si potrebbe intervenire attraverso operazioni
di swap sterlina-euro o sterlina-dollaro. Oppure si potrebbero avviare
interventi specifici di rifinanziamento, qualora se ne creasse il
bisogno soprattutto in Gran Bretagna. Poi c'è sempre la leva dei tassi,
forse poco utilizzabile dalla Bce ma ancora manovrabile da parte della
Bank of England. Le banche centrali sono insomma attrezzate per
rispondere a un'eventuale turbolenza. L'incertezza potrebbe anche pesare
sugli investimenti, e questo potrebbe avere conseguenze sul Pil, anche
oltre il breve periodo. Soprattutto sarebbe ancora da decifrare il
possibile effetto politico in Europa, perché?Brexit potrebbe portare a
due opposte reazioni: potrebbe rafforzare le forze centrifughe in Europa
oppure quelle centripete. Per realizzarsi, questo secondo scenario
richiede molta leadership politica; anche se difficile sarebbe la
risposta più corretta.
IL SOLE 24 ORE - Presidente Prodi,
collegandoci alle parole del Governatore Visco il rischio Brexit si
salda dunque con una Europa che è già a due velocità?
PRODI -
L’Europa a due velocità esiste già, lo sostengo da un bel po’. C’è un
Paese come la Gran Bretagna che è fuori dall’euro ed è fuori dalla
libera circolazione delle persone, poi va a Bruxelles e tratta dicendo
«io farò la lotta per il referendum perché non si esca, ma tuttavia “No
closer Europe”». Il che significa semplicemente una cosa: ogni volta che
voi fate un passo in avanti, io mi fermo. Prendiamo atto che abbiamo
già le due velocità. Il mio dubbio è che, in questo contesto, la
Germania rallenti e non abbia alla fine voglia di una Europa federale.
Sono i timori di Wolfgang Schäuble, che in Italia è conosciuto
dall’opinione pubblica come un falco rigorista, ma che in realtà è un
forte sostenitore dell’Unione europea.
IL SOLE 24 ORE - Brexit o
no, ci sarebbero comunque danni sul posizionamento internazionale
dell’Unione Europea o effetti imitativi?
PRODI - Non sono un
esperto banchiere, ma vedo molto meno gravi i pericoli che vengono
elencati in questi giorni dal Tesoro inglese e dai finanzieri della
City. L’articolo 50 del Trattato di Lisbona prevedeva nel 2007 che uno
potesse abbandonare l’Unione trattando col Consiglio europeo le modalità
di recesso. È un brutto messaggio perché si interpreta l’Europa come
una porta girevole da cui si può uscire. Allo stesso tempo, si attiva un
negoziato e nel negoziato abbiamo tutti l’interesse al libero scambio.
Esattamente come prima. Di Brexit, dunque, vedo soprattutto le
conseguenze di natura politica. Di certo in India, in Australia e negli
Stati Uniti considerano l’Unione europea con lenti britanniche. Dunque,
anche solo l’ipotesi di una uscita inglese è negativa. Sull’attivazione
di un processo imitativo di abbandono dall’Europa da parte di altri
Paesi, avrei dei dubbi. Basta pensare alla Polonia e alla Lituania, in
generale ai Paesi dell’Est e del Baltico, che ricevono moltissimi
finanziamenti comunitari. Anche la posizione di altre realtà come la
Danimarca, la Svezia e l’Olanda, mi pare più sfumata.
IL SOLE 24 ORE - In caso di Brexit prevede effetti sul posizionamento della City?
PRODI
- No, non vedo conseguenze. La City è la City non perché è in Europa,
ma per via della raffinatezza dei suoi strumenti e per la lingua. A
renderla una grande piazza finanziaria, sono le competenze che ne fanno
un caso unico. Tratta il dollaro e l’euro, ma anche per esempio il
renminbi come tutte le altre monete. Sicuramente qualche azienda
multinazionale che ha la sede in Gran Bretagna o qualche impresa cinese
che deve stabilire la sede europea preferirà Bruxelles o Parigi a
Londra, ma sono cose minori. Anche il rafforzamento delle Borse
continentali andrà adagio. Se ci fosse un passaggio di potere a qualche
Borsa continentale, gli inglesi forse avrebbero anche interesse ad
aiutare un poco Piazza Affari, di cui sono proprietari. Ma io vedo la
City forte per le competenze e la lingua, per la storia di Londra e non
perché sia membro dell’Unione Europea.
IL SOLE 24 ORE - Professor Monti, secondo lei quali potrebbero essere le conseguenze politiche di Brexit?
MONTI
- Anch’io vedo un rischio abbastanza forte di emulazione politica:
questo non necessariamente si tradurrà nell’effettiva uscita di altri
Paesi, ma forse in una maggiore accondiscendenza delle classi politiche a
indire referendum sulla permanenza nell’Unione. Ma questo non è l’unico
effetto di disgregazione possibile, in caso di Brexit. Ne vedo un
altro: il tavolo del Consiglio europeo senza la Gran Bretagna sarebbe di
certo meno ostico e un po’ più facile, ma perderebbe anche una delle
voci più forti a favore del libero mercato, della concorrenza, della
competitività. Il rischio è che senza la Gran Bretagna gli altri Paesi
si “accartoccino” un po’ e che, in proporzione, aumenti il peso di
Germania e Francia. Ma i problemi sarebbero importanti anche se la Gran
Bretagna restasse nell’Unione europea, perché a febbraio è accaduto
qualcosa di grave: gli altri 27 Stati dell’Unione europea hanno dato
prova di grandissima sottomissione alla seduzione britannica, o al
ricatto britannico, concedendo condizioni di favore al Paese. Questo è
grave perché crea un’asimmetria. La conseguenza è che il rischio di
emulazione ci sarà anche nel caso in cui la Gran Bretagna restasse
nell’Unione europea: altri Stati potrebbero infatti chiedere di rivedere
le condizioni di appartenenza all’Unione europea. Tutto questo va
contro la regola base dell’Unione: cioè la parità di condizioni.
IL
SOLE 24 ORE - È vero che il danno dell’accordo di febbraio esiste
proprio perché è stato fatto, però c’è anche una clausola che dice che
quell’accordo varrà solo se la Gran Bretagna resterà nell’Unione
europea. Qualora uscisse, l’accordo uscirebbe dal tavolo. Per di più
quell’accordo va negoziato e riempito, e alla fine andrà anche
ratificato da tutti i Paesi...
MONTI - Per fortuna, ha ragione, è
un accordo di principio, non ancora un accordo operativo e io
personalmente nutro la speranza che nel caso il Regno Unito resti e che
quindi quell’accordo debba essere tradotto in regolamenti, direttive,
regole operative, non prevalga una seconda volta, a seguito di
un’incomprensibile complesso d’inferiorità dei 27, il desiderio di
elargire favori particolari al ventottesimo. Auspico che non si uccida
il vitello grasso solo perché non è uscito il ventottesimo. E mi pare di
capire che la Commissione europea che, con il suo potere esclusivo
d’iniziativa è l’istituzione che dovrebbe poi mettere in musica
operativa questi accordi, non sia dell’idea di erogare un’altra volta
una particolare largesse.
IL SOLE 24 ORE - Sembra che dei tre
macro temi (contagio politico, instabilità dei mercati e rallentamento
economico) quello che più vi preoccupa sia il primo. Per quanto riguarda
l'Italia, possiamo dire che l'instabilità dei mercati può pesare meno
del contagio politico? E soprattutto: esiste un piano Bce in caso di
Brexit che sia in grado di far fronte all'instabilità in modo adeguato?
VISCO
- Il rischio è che un’incertezza prolungata nell’Unione europea, anche
su decisioni fondamentali come l'Unione dei mercati dei capitali, possa
determinare turbolenze nei mercati finanziari. In assenza di interventi
di natura politica, si fa sempre riferimento a possibili interventi
della Bce. Ma la Bce non può migliorare le condizioni strutturali
dell'economia né aumentare l'integrazione tra i diversi Paesi: può solo
intervenire per evitare gli effetti negativi del materializzarsi di
alcuni rischi. I rischi potrebbero colpire il mercato azionario, quello
dei titoli pubblici, il mercato valutario, la valutazione e il
finanziamento delle banche; per i rischi legati a carenze di liquidità
la Bce può intervenire con tutti gli strumenti che ha a disposizione. Ma
non vi sono nuove misure create ad hoc per far fronte al rischio di
instabilità finanziaria che potrebbe colpire alcune economie: gli
strumenti ci sono già. Pensiamo per esempio alle Omt, che sono state
pensate nel 2012 per difendere l’area euro dal rischio di frammentazione
e di ridenominazione: questi sono dunque rischi su cui si può
intervenire con gli strumenti già esistenti. Ma nessuno di questi
strumenti può affrontare problemi di natura strutturale. Se la domanda è
quanto l’Italia si trovi in posizione di svantaggio rispetto ad altri
paesi,sappiamo che non siamo messi molto bene, ma secondo alcuni
indicatori di sensibilità a Brexit, tra i 20 Paesi più in pericolo in
caso di uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea l’Italia si trova
agli ultimi posti. Ai primi ci sono paesi molto integrati con il Regno
Unito sul piano reale o su quello finanziario, quali Irlanda e
Lussemburgo; anche per Francia e Germania gli effetti potenziali sono
considerati maggiori che per l’Italia. Il nostro interscambio di beni e
servizi con la Gran Bretagna è intorno al 3% del Pil.
MESSINA - Se
posso aggiungere.. Sono molto d’accordo sulla distinzione tra l’Area
Europa e la Zona Euro, perché in realtà io credo che gli elementi di
maggiore fragilità, fermo restando che tutte le considerazioni svolte
sull’importanza dei trattati e le implicazioni sull’Unione europea, sia
la zona Euro. Non è tanto la componente dell’Europa, dove certamente le
implicazioni sul Pil potrebbero essere ritenute significative, ma si
tornerebbe di nuovo alla scommessa che in particolare nel mondo degli
Stati Uniti, dove partì la crisi del debito del 2011, sulla tenuta della
zona Euro. Cosa che io credo assolutamente esagerata come percezione,
ma non c’è dubbio che gli impatti in particolare per il nostro Paese li
vedo molto più concentrati sullo spread BTP-Bund, piuttosto che
sull’implicazione della dinamica del Pil, che, da un punto di vista
immediato non sarebbe toccato, perché le nostre relazioni nei confronti
Uk non sono così elevate. La dimensione del nostro debito pubblico che è
rimasta elevata nel corso di questi ultimi anni e rende problematico il
rapporto debito-Pil apre il varco a chi punta al nostro Paese come a un
Paese che potrebbe avere impatti superiori rispetto ad altri. Poi è
chiaro che la dimensione dello scudo Bce è talmente forte che non ci
farebbe ritornare alla situazione del 2011, ma io vedo la possibilità di
un impatto anche significativo – parlo di 50–70 basis points - e
sull’Italia si sommerebbe indubbiamente la condizione di percepita
maggiore fragilità dei nostri crediti deteriorati. Dico “percepita”,
perché il livello dei collaterali e delle nostre garanzie è di gran
lunga superiore rispetto a quello di molti altri Paesi. E quindi su
questo si innesteranno correnti più speculative, non suffragate dai
sottostanti. Perché io l’ho detto in più occasioni: se si guardasse il
livello dei derivati presenti nei bilanci di molte altre banche
internazionali, probabilmente il nostro sistema bancario – se si facesse
la combinazione di sofferenze e derivati e la si rapportasse al
patrimonio – non sfigurerebbe rispetto ad altri sistemi bancari. Però
non c’è dubbio che in questo momento, se verrà posta un’enfasi negativa,
il nostro Paese avrà una maggiore necessità di avere una copertura
nell’ambito dello scudo BCE che riguarda proprio la zona euro. Quindi,
pur non aspettandomi degli impatti così fortemente negativi, io credo
che dovremmo essere uno dei paesi che dal punto di vista delle
condizioni finanziarie potrà avere un impatto importante dall’uscita.
IL
SOLE 24 ORE - Ricolleghiamoci all’ultima cosa che ha detto il
governatore sul rallentamento del processo di integrazione e anche
all’osservazione che ha fatto il professor Prodi sull’atteggiamento di
Schäuble. Schäuble, non dimentichiamolo, molto vituperato in Italia,
però è l’unico politico tedesco con una visione europea. Saremmo curiosi
di sentire dal ministro Padoan cosa ricava dalle sue conversazioni con
il ministro Schäuble, anche a proposito di questo.
PADOAN - Volevo
toccare esattamente quel tema e aggiungere un’altra cosa. Non
dimentichiamoci che il rischio Brexit viene percepito anche a livello
mondiale. In sede di G20 l’ipotesi di un’uscita del Regno Unito
dall’Unione a 28 è considerato come uno shock capace di rafforzare i
rischi al ribasso della crescita economica globale. Io sono molto
preoccupato, come dicevo prima, per gli effetti emulativi di questo
referendum, che arriva quando ancora non siamo usciti da una fase
congiunturale che è stata definita di “stagnazione secolare”. E sono
preoccupato per quello che sarà l’Ue senza Gran Bretagna. Se guardo ai
passaggi verso una maggiore integrazione legati agli ultimi dossier
discussi negli Ecofin degli ultimi mesi ricordo come la Germania, con il
ministro Schauble, abbia espresso posizioni sempre per la soluzione più
favorevole al Regno Unito e al ministro Osborne. Mi chiedo che cosa
succederebbe nel caso di uscita della Gran Bretagna, con un’Unione che
riparte da 27. L’Ue non sarà più quella di prima. E questo è un fatto.
Le implicazioni per l’Europa, indipendentemente o meno dalla questione
dell’effetto-imitazione politica a livello di singolo Paese, saranno
rilevanti. L’Europa secondo me farebbe un grave errore a dire: «Va bene,
siamo uno di meno, andiamo avanti ugualmente». Non è così. Mi chiedo da
dove ripartiranno progetti strategici come la capital market Union, mi
chiedo quale sarà l’agenda europea a 5 o 10 anni senza la Gran Bretagna.
Si determinerebbe un gap policy making molto forte, che i leader
politici dell’Unione dovranno colmare. La Ue farebbe un grave errore se
provasse ad andare avanti come se nulla fosse accaduto. Dobbiamo
riconsiderare la situazione, anche se Brexit non ci sarà, perché c’è
stato già evidentemente il vulnus politico.
IL SOLE 24 ORE -
Ministro non ha la sensazione che le opinioni pubbliche siano poco
sensibili alla prospettiva di una capital markets union?
PADOAN -
Le opinioni pubbliche sono sensibili alle scelte politiche che
riguardano i livelli di vita e benessere e, in questo senso, i temi del
welfare e dell’occupazione sono costantemente al primo posto delle
preoccupazione. Si tratta dei temi su cui il Governo italiano si è
sempre posto in prima linea per orientare l’agenda politica europea. Se
la reazione al referendum fosse una maggiore attenzione verso questi
temi, allora sarebbe un effetto positivo.
IL SOLE 24 ORE - La Gran Bretagna non è mai stata un partner semplice, da gestire, a Bruxelles.
PRODI
- Voglio alleggerire un poco questa discussione. Mi rivolgo a Mario,
che ha il senso dell’umorismo: non trovi un poco strano vedere oggi nei
panni dei grandi difensori dell’Unione Europea Blair e Brown, che ci
hanno fatto morire durante la nostra Commissione? Loro bloccavano ogni
proposta fino a mettersi in contrasto coi commissari britannici, che
erano molto più europeisti dei loro Governi. Io ho fatto il presidente
della Commissione a 15 e della Commissione a 25: non c’è stata alcuna
differenza. Il problema era la Gran Bretagna. Noi dobbiamo fare di tutto
perché essa stia dentro. Ma dobbiamo anche essere chiari dicendo che
quanto è capitato negli ultimi anni ha indebolito in maniera incredibile
Bruxelles. Naturalmente mi resta, conoscendo la meravigliosa virtù
empirica dei britannici, la grande speranza che alla fine noi ci si
riesca a unire di più. Così non si va avanti.
MONTI - Ci ritroveremo in ventisette orfani.
PRODI - Sì, ma la Gran Bretagna non è né la mamma né il babbo.
IL
SOLE 24 ORE - Brexit avrebbe solo effetti negativi o anche positivi
sull’Unione europea? In fondo, come si diceva ora, la Gran Bretagna è
sempre stata un ostacolo a molti tentativi di integrazione.
MONTI -
Senza la Gran Bretagna si perde di certo la spinta a creare un mercato
più libero e più concorrenziale. Gli inglesi hanno sempre giocato un
ruolo fondamentale in questo percorso. Io per dieci anni, occupandomi di
mercato e di concorrenza, ho avuto in Londra il mio principale alleato.
La sua uscita toglie la spinta, tanto necessaria all’Europa, verso più
mercato, più riforme strutturali e così via. Quindi serve che in questo
gioco di forze, qualcun altro arrivi a supplire la mancanza inglese su
queste tematiche. Ma è anche vero che l’uscita della Gran Bretagna
eliminerebbe il principale freno a un’ulteriore integrazione europea,
dato che la Gran Bretagna ha sempre agito contro. Se si sono alimentati
dei nazionalismi, è anche perché è andata avanti l’integrazione di
mercato ma è rimasta al palo quella sociale e fiscale. Quindi ora viene
meno, con l’uscita eventuale della Gran Bretagna, il principale fattore
di resistenza ideologica e pratica a un maggiore coordinamento fiscale.
IL
SOLE 24 ORE - Quale atteggiamento potrà avere l’Europa con la Gran
Bretagna in caso di Brexit? Le ultime dichiarazioni di esponenti
politici tedeschi e francesi sono di totale chiusura.
PADOAN -
Negli ultimi giorni il linguaggio usato da esponenti dei governi di
Francia e Germania è stato di maggiore chiusura, nel senso che o si è
dentro o si è fuori. Poi però bisognerà vedere chi si siederà ai tavoli
negoziali che verranno. I colleghi ministri quando parlano di questo in
molti casi lo fanno avendo in mente il loro “mercato politico” interno.
Vedremo la prossima settimana nel vertice dei capi di stato e di governo
che conseguenza avranno queste dinamiche. Certamente per i leader
politici l’incertezza riguarda, come dicevo prima, l’intera unione. Se
ci sarà Brexit serviranno due anni di negoziati per trattare come la
Gran Bretagna uscirà dall’Unione e poi un altro negoziato sulle modalità
di rientro. Tutto questo potrebbe durare a occhio cinque anni. Mi
chiedo: se in questo tempo una multinazionale dovesse fare delle scelte
come si porrà?
VISCO - Il principale problema per i prossimi
due-tre anni riguarda le possibili conseguenze per l'unione economica e
monetaria. Dopo aver fatto, l'unione monetaria, la moneta unica, nel
1998 ci siamo fermati per oltre dieci anni; ci siamo resi conto che la
crisi dei debiti sovrani ha in larga misura riflesso la percezione che
la costruzione europea fosse a rischio, che si potesse rompere
quell'unione monetaria. Ma se alla lunga una moneta senza stato non può
mantenersi, occorre conseguire chiari progressi lungo la strada
dell'unificazione europea. Li abbiamo fatti? Siamo ancora impegnati a
completare l'unione bancaria, e non sono pochi gli ostacoli anche
politici; si parla di non poter condividere i rischi senza prima ridurli
decisamente; si propone un ministro delle finanze europeo senza che vi
sia accordo sul punto fondamentale dato dalla necessità di disporre di
risorse comuni, strumenti di debito comune, forse un debito comune, per
mettere in atto una politica di bilancio unica, senza la quale è
difficile operare con una politica monetaria unica. Il mio timore è,
quindi che, mentre si dovrebbe affermare l'idea che su alcuni temi
politici fondamentali (si pensi alla sicurezza o alla grande questione
dell'immigrazione) non ci si possa cullare sull'illusione, come diceva
Tommaso Padoa-Schioppa, che siano possibili risposte nazionali anziché
continentali se non mondiali, si dovessero prendere questo percorso si
possa indebolire. Anziché prendere quindi decisioni politiche comuni,
alle quali poi ancorare il processo faticosissimo di costruzione più
“autentica” dell'unione economica e monetaria (per usare la terminologia
del rapporto del Presidente dell'Unione europea del 2012), si
potrebbero determinare ritardi per il completamento dello stesso
processo di unificazione economica e monetaria, ritardi connessi con
l'instabilità dovuta a incertezze nella risposta politica.
IL SOLE
24 ORE - Ministro Padoan, state facendo gli stress-test al bilancio
pubblico? Perché, se torniamo ad avere il problema dello spread, non
vorremmo che l’aumento dell’onere del servizio del debito mangi quei già
bassissimi margini che abbiamo per le politiche fiscali espansive.
PADOAN
- Quegli stress-test li facciamo sempre. Nel senso che la sensitività
del bilancio pubblico ai tassi d’interesse è, evidentemente,
continuamente monitorata.
IL SOLE 24 ORE - Ministro, vorremmo
riallacciarci a quello che diceva prima, cioè all’impatto di Brexit sul
resto del mondo. Vedendola dagli Stati Uniti c’è molta preoccupazione:
Barack Obama è andato a Londra per sposare la causa del Sì e ci sono
state reazioni su più fronti. La Federal Reserve ha affrontato la
preoccupazione finanziaria rimandando l’aumento dei tassi d’interesse.
Sul fronte delle aziende, per la JP Morgan, Jamie Dimon ha mandato
lettere annunciando ai 4mila dipendenti che probabilmente molti saranno
licenziati se ci sarà Brexit. La Ford ha invitato tutti i 14mila
dipendenti britannici a votare per il Sì, quindi un messaggio più
velato. Sul piano politico, da un punto di vista americano, c’è un
problema che preoccupa molto. L’altro punto di vista americano è che,
comunque vada, l’Europa dovrebbe cambiare qualcosa, al di là del
welfare.
PADOAN - Il G20 nelle ultime riunioni ha accolto la
preoccupazione sul multilateralismo che non è, come dire, formale ma è
sostanziale: è riportato nei comunicati del G20 ma è stato anche oggetto
di discussioni del G20. Si è aggiunta la Brexit alla lista purtroppo
non breve dei rischi al ribasso del quadro globale. La crescita
insoddisfacente è un problema europeo, ma anche un problema globale.
Quindi più che un rischio al multilateralismo direi che è una ulteriore
complicazione alla governance del multilateralismo.
IL SOLE 24 ORE
- È stato evidenziato che uno dei possibili rischi riguarda le banche e
che una delle risposte potrebbe essere una maggiore integrazione, in
particolare l’unione bancaria. Venerdì scorso c’è stato un Ecofin
abbastanza importante in cui sono state anche prese alcune decisioni
(per esempio quella sul tetto al possesso dei Titoli di Stato) ed è
stato definito un calendario. Vorremmo capire dal ministro Padoan se ci
sono dei segnali positivi in quella direzione.g