Il Sole 1.6.16
Un’ondata di scioperi spacca in due il Belgio
Proteste nei trasporti e nella pubblica amministrazione: ad essere colpita maggiormente è la metà (Sud) francofona del Paese
di Beda Romano
Bruxelles A due mesi dai tragici attentati di marzo, il Belgio sta affrontando in questi giorni nuove incertezze politiche e sociali. Ieri la funzione pubblica ha scioperato in un contesto nel quale si mescolano agitazioni sindacali, contrasti politici e tensioni comunitarie tra il Nord e il Sud del paese. In prima battuta, la situazione non sembra avere legami con i recenti attacchi terroristici. In realtà, è un altro riflesso di un paese sfilacciato, «canaglia», come lo ha definito un alto magistrato belga.
L’amministrazione pubblica ha pressoché bloccato il paese con sospensioni dal lavoro nei ministeri, nella raccolta dei rifiuti, nella distribuzione della posta, nei trasporti nazionali e locali. Lo sciopero è stato proclamato dai sindacati per protestare contro le politiche del governo di centro-destra del premier Charles Michel. L’esecutivo è giunto al potere nel 2014 con l’obiettivo di aumentare la produttività, ridurre le imposte sul lavoro, tagliare la spesa statale, privatizzare alcune aziende pubbliche.
Le agitazioni sociali che stanno colpendo il Belgio non hanno nulla di molto dissimile dagli scioperi che vi sono stati in questi mesi anche in Francia, in Spagna o in Grecia. Vi è però una specificità belga: le proteste stanno colpendo il paese in modo diverso. Anche ieri, in occasione dello sciopero generale, il Sud francofono è stato più colpito del Nord fiammingo. I collegamenti ferroviari erano totalmente bloccati in Vallonia, mentre erano assicurati al 30-40% nelle Fiandre.
La spaccatura nazionale sul piano sindacale è una caratteristica di queste settimane. Dal 25 aprile, sono in sciopero i secondini delle sole prigioni vallone, che chiedono migliori condizioni di lavoro. La settimana scorsa, poi, senza preavviso i ferrovieri della SNCB hanno sospeso il lavoro, ma solo nella parte meridionale del paese. Queste agitazioni segnate da un acceso comunitarismo giungono mentre al potere è un governo federale dove i fiamminghi hanno la netta maggioranza.
L’esecutivo è composto dai liberali dell’Open VLD, dai democristiani della CD&V, dagli autonomisti della N-VA e dai liberali dell’MR, l’unico partito francofono. Ieri a Mons, un manichino con le sembianze dello stesso Michel è stato impiccato sulla Grand-Place della città vallona di cui è sindaco l’ex premier socialista Elio Di Rupo. Evidentemente, molti francofoni non si sentono rappresentati dal governo federale, tanto che le agitazioni sociali stanno mettendo alla prova la stabilità dell’esecutivo.
La pericolosa spaccatura tra Nord e Sud conferma indirettamente l’esistenza di “due democrazie”, come ama dire il presidente della N-VA Bart De Wever, e tende a rafforzare i partiti più radicali. Dietro alle tensioni sociali si nasconde l’incertezza economica di questi anni che sta mettendo in crisi l’assetto corporativo e comunitario del paese. In passato, lo sciopero dei secondini o quello dei ferrovieri sarebbe stato risolto con un rapido e indolore aumento salariale. Oggi non è più possibile.
Più in generale, la struttura costituzionale belga a più strati (la “lasagna istituzionale”) concorre a una deresponsabilizzazione politica che per via di una crisi dell’integrazione musulmana ha contribuito probabilmente agli stessi attentati di marzo. Nei giorni scorsi, il primo presidente della Corte di Cassazione, Jean de Codt, ha definito il paese «uno Stato canaglia» (Etat voyou). La sua è stata una provocazione legata alle condizioni della macchina giudiziaria, ma è significativa dell’attuale stato d’animo in Belgio.