mercoledì 8 giugno 2016

il manifesto 8.6.16
L’«effetto Renzi» ora preoccupa anche gli spin doctor
Giugno-Ottobre. I candidati Pd ai ballottaggi ora tengono Renzi a distanza. Basta sentire Beppe Sala: «Sarebbe ora di smettere di dire che io sono il candidato di Renzi». E Piero Fassino: «Qui si vota solo per il sindaco di Torino»
di Andrea Colombo


Non è che a sentire il nome del gran capo i candidati ballottanti proprio tocchino ferro, però poco ci manca. Basta sentire Beppe Sala, selezionato dal premier-segretario con cura minuziosa: «Sarebbe ora di smettere di dire che io sono il candidato di Renzi». Oppure Piero Fassino, che avverte l’urgenza di ricordare a tutti che «tra 15 giorni qui si vota solo per il sindaco di Torino».
Dopo l’ultima tornata elettorale, che basta guardare la mascella dei renziani nei talk show per capire come l’hanno presa davvero, è inevitabile chiedersi se il tocco di Matteo non somigli a quello di Mida, però capovolto. Il bello è che la stessa inquietante domanda se la pongono anche alla corte del Nazareno, dove si spremono le meningi cercando di decidere se la presenza del reuccio ai comizi conclusivi sarebbe una provvidenziale spintarella oppure il bacio della morte.
E’ vero, il comandante ha ripetuto a volontà che il voto riguardava solo i primi cittadini e non lui che è già il primissimo. Ma dopo la batosta i maghetti della comunicazione, a partire da Jim l’Americano, al secolo Messina, si sono chiesti se a forza di ripeterlo non abbia sortito l’effetto opposto, trasformando le comunali in un primo referendum su se stesso. Per come si sono messe le cose, poi, ai ballottaggi l’effetto premier è comunque garantito: sarà il caso di invogliare ogni anti-renziano in procinto di partire per la spiaggia, pur se orfano del proprio candidato, a fare tappa al seggio per affibbiare al nemico una sberla domenicale?
Già, ma d’altra parte, proprio perché ormai la deriva è inevitabile, non si rischia di peggiorare la situazione latitando? Il dubbio è lacerante, la domanda turba e angustia. Lo stato maggiore valuta e discute, analizza e soppesa. Però la risposta non arriva. Alla fine a decidere, tanto per cambiare, sarà l’indiretto interessato. Dato il carattere bullesco, che per inciso rappresenta la sua migliore dote, è probabile che decida di spuntare sui palchi, e poco male se ai candidati sembrerà un gattone formato gigante, nero come la notte.
Solo che il dilemma non grava solo sugli imminenti ballottaggi. I comunicatori sospettano infatti che anche la trovata di chiamare gli elettori a votare in ottobre sul gradimento al capo invece che sulla riforma non sia stata idea felice. Una cosa è chiedere ai cittadini di sbranare un po’ di parlamentari, che quella è sempre festa grande, tutt’altra chiedergli di plebiscitare un non parlamentare che però alloggia a palazzo Chigi. Vedi mai che proprio insistere tanto su quel plebiscito, nelle settimane scorse, non abbia spinto un congruo numero di votanti ad accelerare i tempi, esprimendosi in materia già con queste comunali. Se dovessero rifarci domenica 19 giugno potrebbe finire come a Waterloo.
L’incauto di Rignano ha già deciso che, appena venuta meno la necessità di oscurare le comunali straparlando di referendum, concederà al popolo presto votante un attimo di respiro, interrompendo la campagna anticipata. Ma la pausa non potrà durare troppo: il 2 ottobre, con l’estate di mezzo, è già dietro l’angolo. A quel punto per il kamikaze di palazzo Chigi spersonalizzare anche solo un po’ la prova non sarà facile. Sia perché si è già spinto troppo avanti, sia perché il carattere è quello che è, e si sa che il carattere è un destino.
Ma queste sono preoccupazioni autunnali. Al momento l’urgenza è un’altra: per impedire che il verdetto arrivi con mesi di anticipo, tra due domeniche, sarà opportuno lasciare il capo a briglia sciolta o converrebbe una discreta reclusione, giusto per una decina di giorni? Nulla di personale, boss. Politica, solo politica.