il manifesto 6.6.16
Milano, sfida apertissima all’ultimo voto tra i due maganer fotocopia
Testa
a testa tra Beppe Sala e Stefano Parisi. Dopo sei mesi di campagna
elettorale alle urne solo il 55% dei milanesi, il minimo storico
di Luca Fazio
Tutto
come previsto, il primo tempo non ha riservato sorprese. Milano
deciderà al ballottaggio. Beppe Sala è avanti, con una forbice
percentuale che a urne appena chiuse attribuisce al candidato del
centrosinistra un gradimento intorno al 44% degli elettori. Lo sfidante,
Stefano Parisi, sarebbe indietro ma non troppo con il 37% circa dei
voti. Sono quattro o cinque punti percentuali di distanza, troppo poco
per decidere la partita.
Il clima è piuttosto disteso da una parte
e dell’altra. Stefano Parisi, che ieri notte impazzava su tutte le
televisioni, ha voluto commentare a caldo senza troppo scomporsi: «C’è
stato un recupero, in pochi mesi abbiamo fatto un buon lavoro. Molti
milanesi scontenti non hanno voluto confermare la giunta Pisapia. La
partita è aperta, sono molto contento di questo risultato». Dello stesso
avviso anche Franco Mirabelli (Pd), con una dichiarazione-fotocopia:
«Questo risultato ci conferma l’ottimismo, c’è una partita aperta,
andremo al ballottaggio». Ma nel quartier generale del centrosinistra,
dopo le prime videate, non c’era una aria troppo allegra. Probabilmente
si aspettavano qualcosa di più.
In ogni caso il secondo tempo sarà
un match completamente diverso, perché il 19 giugno ci sono troppi voti
in libertà che è quasi impossibile collocare da una parte o dall’altra.
Senza contare l’affluenza alle urne che è destinata a calare
ulteriormente, consegnando alla città un sindaco eletto per la prima
volta da poco più di metà dei cittadini milanesi. Ragionare sugli exit
poll è un esercizio che lascia ampio margine agli errori, ma c’è un dato
incontrovertibile che dice la distanza per certi versi clamorosa dei
milanesi dalla politica cittadina nonostante cinque anni di giunta
Pisapia attorno cui si è costruita una narrazione virtuosa che non ha
retto alla prova decisiva del voto. Sei mesi di ininterrotta campagna
elettorale (senza contare che è da più di un anno che Pisapia ha
annunciato il suo ritiro) hanno portato al voto appena il 55% dei
cittadini. Il mimino storico per una elezione milanese. Cinque anni fa,
nel 2011, al primo turno andò a votare il 67,56% degli aventi diritto al
voto (gli stessi di cinque anni prima quando Letizia Moratti sconfisse
il prefetto Bruno Ferrante). Se questo dato dovesse essere confermato,
la cosiddetta «rivoluzione arancione» – e un centrodestra in disarmo
resuscitato da un buon candidato – hanno perso per strada il 12% di
elettorato.
L’emorragia è destinata a peggiorare per motivi di
carattere “strutturale” (tra due settimane aumenteranno i vacanzieri) e
per altri più squisitamente politici. Si chiama astensione consapevole.
Molti osservatori sostengono che saranno gli elettori delusi di sinistra
a presentare il conto alla coalizione che ha scelto un manager per
sostituire Giuliano Pisapia. Ieri di fatto si decideva solo la
composizione del consiglio comunale, il sindaco, lo sapevano tutti, si
sceglierà solo tra due settimane. E il 19 giugno si capirà il gradimento
– o il rifiuto – dei milanesi per i due candidati manager. Importante è
capire chi non è andato a votare, come sempre, ma questa volta sarà
ancora più importante capire chi non andrà a votare al secondo turno.
Tutti sanno che una buona parte degli elettori di sinistra sinistra
(lista Basilio Rizzo, accreditata tra il 3 e il 5%) non punterà mai
sull’ex manager di Expo: e saranno due settimane di corteggiamenti,
risse e reciproche accuse di tradimento.
C’è poi un “tesoretto”
percentuale piuttosto consistente (Cinque Stelle: exit poll tra 8 e 12%)
che in teoria potrebbe cambiare l’esito delle elezioni. Non è difficile
prevedere che in queste due settimane sia Sala che Parisi faranno gli
occhi dolci ai “populisti dell’antipolitica”. Il candidato Gianluca
Corrado non cederà di un millimetro e predicherà l’astensione (cosa che
farà crollare la percentuale di votanti), ma sulla scelta
dell’elettorato grillino al ballottaggio potrebbe anche pesare lo
scontro durissimo che si annuncia tra Matteo Renzi e i 5 Stelle. Se una
parte dell’elettorato a cinque stelle dovesse votare a Milano per punire
il Pd nazionale, per Beppe Sala potrebbero essere guai molto ma molto
seri.