il manifesto 17.6.16
Palestinesi: «Israele lascia senza acqua la Cisgiordania». Tel Aviv nega
Territori
Occupati. La compagnia Mekorot è accusata di aver ridotto fino al 50%
le forniture di acqua a decine di centri abitati mantenendo inalterata
la quota destinata alle colonie ebraiche. A Gaza un piccolo passo in
avanti. In autunno sarà operativo il primo impianto di dissalazione che
servirà 150 mila palestinesi
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Non risolve il problema, che è enorme, però rappresenta un passo in
avanti. Il prossimo autunno sarà operativo nei pressi di Deir al Balah,
nel sud della Striscia di Gaza, un impianto di dissalazione dell’acqua
finanziato dall’Unione europea e dall’agenzia dell’Onu per l’infanzia,
l’Unicef. Già nelle prossime settimane sarà testato con l’obiettivo di
produrre al più presto 6.000 metri cubi di acqua potabile al giorno.
Questa quota sarà raddoppiata nei prossimi tre anni a vantaggio di
150.000 palestinesi che vivono tra Khan Yunis e Rafah. Il 95 per cento
(per altre fonti il 97 per cento) dell’acqua di Gaza, inclusa quella
filtrata e venduta da 150 imprese private, è ritenuto inadatto al
consumo umano. Occorrerà perciò lavorare duro e reperire in fretta i
fondi necessari per costruire altri impianti di dissalazione e
assicurare nuove fonti di acqua potabile a Gaza dove le condizioni di
vita dei due milioni di abitanti hanno subito un rapido declino in
questi ultimi anni. Una situazione sulla quale pesano anche le offensive
militari israeliane avvenute tra il 2006 e il 2014 che hanno
danneggiato le infrastruttute civili. A queste si aggiunge l’embargo
attuato da Tel Aviv e il Cairo che spesso impedisce l’ingresso a Gaza di
materiali per l’edilizia e pezzi di ricambio.
Se nella Striscia
si è fatto un piccolo progresso nella soluzione del problema dell’acqua,
un passo indietro invece è avvenuto in Cisgiordania dove, anche
quest’anno, con l’arrivo dell’estate, decine di migliaia di palestinesi,
specie quelli che abitano nelle zone rurali, si ritrovano senza o con
poca acqua potabile. I palestinesi puntano l’indice contro la Mekorot,
la compagnia idrica israeliana che controlla le riserve d’acqua della
Cisgiordania sotto occupazione militare. La Mekorot, protestano,
garantisce una quantità d’acqua adeguata agli insediamenti coloniali
ebraici a danno dei centri abitati palestinesi. La Mokorot nega di aver
tagliato le forniture in occasione del mese di Ramadan a decine di
centri abitati palestinesi. Parla di danni alla rete idrica e di una
riduzione delle forniture che riguarderebbe tutti, dovuta al calo delle
riserve idriche causato dalla siccità che ha colpito la regione in
questi ultimi anni. «Tutte le nostre strutture sono al lavoro per
risolvere il problema ma l’offerta d’acqua è inferiore al livello di
consumo», ha scritto in un comunicato la Mekorot facendo riferimento a
soluzioni tecniche in cantiere per fornire più acqua.
Parole che
non convincono Ayman Rabi, del Gruppo Idrologico Palestinese, che
rilancia l’accusa dei tagli delle forniture avvenuti in coincidenza
dell’inizio del Ramadan. «In alcune aree non ricevono l’acqua da più di
40 giorni e migliaia di palestinesi per bere devono acquistare l’acqua
dai privati a costi elevati che pochi possono permettersi», spiega Rabi
sottolineando che tante famiglie palestinesi hanno a disposizione
soltanto due, tre, al massimo 10 litri di acqua al giorno. Incandescente
la reazione del premier dell’Anp Rami Hamdallah. «Israele – dice –
vuole impedire ai palestinesi di condurre una vita dignitosa e usa il
suo controllo delle nostre risorse idriche a tal fine. Mentre gli
insediamenti coloniali israeliani godono di un servizio idrico senza
interruzioni, i palestinesi sono costretti a spendere grandi somme di
denaro per comprare la loro stessa acqua». Il distretto di Jenin è il
più colpito dai tagli assieme alla zona di Salfit, a sud-ovest di
Nablus. Qui la quantità d’acqua disponibile, spiegano le autorità
locali, era già stata ridotta della metà nelle settimane passate. I
palestinesi avvertono che la Mekorot sarà l’unica responsabile di
possibili tragedie umanitarie nei prossimi mesi.
75 litri per
persona al giorno è il requisito minimo per non soffrire la sete e nelle
aree dove le temperature superano i 35 gradi durante il periodo più
caldo dell’anno, la disponibilità d’acqua dovrebbe essere superiore. Una
quantità d’acqua che i palestinesi possono soltanto sognare. Al
momento, con le quote decise in silenzio dalla Mekorot, gli israeliani,
compresi quelli che vivono negli insediamenti ebraici, hanno a
disposizione 350 litri al giorno contro i 60 dei palestinesi. In
Cisgiordania circa 200.000 palestinesi non hanno accesso diretto
all’acqua potabile. Secondo un rapporto diffuso nel 2013 dal centro per i
diritti umani al Haq, durante l’estate la Mekorot riduce
sistematicamente del 50% l’acqua ai centri abitati palestinesi in modo
da garantire un approvvigionamento adeguato agli israeliani, anche
quelli delle colonie.