Corriere 8.6.16
San Pietroburgo
Viaggio nella città dai molti passati, immagine di una Russia imperiale che oggi prova a ritrovare la sua ragion d’essere
di Sergio Romano
Il
27 maggio, San Pietroburgo (Piter per gli amici) ha celebrato il suo
313° compleanno. Insieme ad altri artisti del Teatro Marinskij e del
Bolshoi di Mosca, Anna Netrebko ha cantato arie di Bizet, Leoncavallo,
Puccini, Strauss e Verdi su un palcoscenico innalzato di fronte
all’Ermitage. La piazza era piena, gli applausi scroscianti. Dopo il
concerto la folla ha invaso gli Irish Pub del centro della città (una
catena di bar-ristoranti molto popolare) e i ristoranti italiani (molto
numerosi e altrettanto popolari) per festeggiare una notte che sarebbe
stata bianca sino alle ultime ore del giorno. Gli unici riferimenti alle
origini della città erano i costumi settecenteschi indossati da pochi
ragazzi.
Questo era il Natale di Pietroburgo, ma sul monumento
equestre a Pietro il Grande voluto dalla Grande Caterina e scolpito da
Etienne Maurice Falconnet (il «cavaliere di bronzo» come fu definito da
Aleksander Pushkin in un famoso poema del 1833) non ho visto né una
corona d’alloro, né un semplice fiore. Eppure la città fu concepita
dallo zar Pietro Romanov quando, dopo un lungo viaggio in alcuni Paesi
europei, volle una capitale che si affacciasse sull’Europa. Un
visitatore italiano giunto in Russia quando la città aveva poco più di
trent’anni, Francesco Algarotti, ne colse subito la funzione e disse che
era un «finestrone» sull’Europa. Qualche decennio dopo, Pushkin usò la
stessa metafora. Da allora Pietroburgo ha svolto egregiamente questa
funzione. Di qui sono passati i gusti dell’Europa, i suoi stili
architettonici, le sue mode artistiche e, soprattutto i suoi grandi
progetti ideali o materiali, da quelli per la creazione di una grande
industria nazionale a quelli per la riforma radicale della politica e
delle istituzioni. Mentre Mosca, insieme a Kiev, è il cuore della
spiritualità russa, Pietroburgo è il palcoscenico dove vanno in scena
tutte le rivoluzioni di questo grande Paese.
La prima fu quella
dei Decabristi, i nobili e i militari che nel dicembre 1825 cercarono di
introdurre in Russia, con un colpo di Stato, le istituzioni liberali
scoperte e ammirate in Europa occidentale durante le guerre
napoleoniche. La seconda fu quella democratica del 1905, durante la
guerra con il Giappone. La terza fu quella democratica e repubblicana
del marzo 1917. La quarta fu quella bolscevica dell’ottobre-novembre
1917. Forse nessuna di queste rivoluzioni avrebbe avuto luogo se la
capitale fosse rimasta a Mosca. Quando Lenin, nel marzo del 1918 decise
di abbandonare Pietrogrado (il nuovo nome della città dopo l’inizio
della Grande guerra) per insediarsi a Mosca, non era estraneo alla sua
decisione, probabilmente, il timore che la città di Pietro fosse meno
governabile della vecchia capitale del Granducato di Moscovia.
Ma
la grande storia russa è qui, a Pietroburgo. Quando scende dall’aereo
nell’aeroporto di Pulkovo, il visitatore scopre che la città ha due
nomi. Nella prima scritta che campeggia sull’edificio del terminale il
nome è San Pietroburgo; ma in una seconda scritta, a fianco della prima,
è «città degli eroi Leningrado». Quando entra in città il primo
monumento che lo accoglie in Piazza della Vittoria è quello ai difensori
di Leningrado: un gruppo bronzeo di combattenti che festeggiano nello
stile del realismo socialista il trionfo della loro lunga resistenza
all’assedio tedesco. Quando si muove attraverso la città, scopre che
Lenin è il nome di una prospettiva, di una piazza, e di una stazione del
metro. Quando raggiunge la piazza del Palazzo è nel cuore della Russia
imperiale, ma scopre che a Pietroburgo esiste anche un distretto
intitolato a Sergej Kirov, segretario del partito a Leningrado,
possibile concorrente di Stalin alla guida del Paese, assassinato nel
dicembre del 1934.
Il palazzo neoclassico dello Smolnyi, dove
Lenin annunciò la prima rivoluzione socialista e la conquista del
potere, è una piccola isola comunista nel tessuto urbano della città.
Una scritta scolpita su un arco, all’inizio del viale che porta al
palazzo, dice che questo fu il «primo soviet della dittatura del
proletariato». I due busti che fiancheggiano il viale sono quelli di
Marx e di Engels. L’uomo di bronzo, al di là di un cancello di fronte al
palazzo, è Lenin in una delle sue consuete pose oratorie. Non lontano
dalla Smolnyj, nella Ulitsa Shpalernoj, vi è una statua a Feliks
Dzerzhinskij. Esisteva un parco intitolato al suo nome; ma quando venne
«urbanizzato», all’inizio degli anni Ottanta, fu deciso di onorare il
fondatore della Ceka con una statua. Quella che sorgeva a Mosca in
piazza della Lubjanka, di fronte al palazzo del Kgb, erede della Ceka,
fu invece abbattuta e rimossa dopo il colpo di Stato fallito dell’agosto
1991.
Ma il ricordo del passato comunista non impedisce a
Pietroburgo di rendere omaggio ai suoi zar, ai suoi nobili, ai
protagonisti del suo passato imperiale, ai decabristi, a scrittori e
artisti, ad Andrej Sacharov e alle vittime di Cernobyl. Sembra esservi
nella città il desiderio di usare monumenti e toponomastica per
abbracciare tutto ciò che le appartiene. Uno degli esempi più
interessanti è a Kronstadt, l’isola del golfo di Finlandia in cui Pietro
volle creare la prima base navale della marina imperiale. Nel 1917 i
marinai si ammutinarono e sostennero il colpo di mano con cui Lenin
conquistò il potere. Ma nel marzo del 1921, dopo quattro anni di regime
bolscevico, gli stessi marinai, fra cui molti erano anarchici, si
ribellarono chiedendo nuovi soviet liberamente eletti e la convocazione
di una Assemblea costituente.
La reazione dell’Armata Rossa fu
particolarmente dura e i morti, nei due campi, furono circa 1.400; ma la
rivolta ebbe l’effetto di indurre Lenin ad allentare la morsa del
rigore sovietico con la adozione di un «Nuova politica economica» (Nep),
meno inflessibilmente dirigista. Coma fare ammenda per quella
sanguinosa repressione? A Kronstadt, nella piazza della cattedrale, vi
sono due monumenti. Il primo, in stile art nouveau, è dedicato alla
memoria di un ammiraglio che morì nel primo anno della Grande guerra. Il
secondo è moderno, astratto e si compone di quattro blocchi di pietra
su cui altrettante scritte ricordano i morti di due rivoluzioni e di due
guerre: la rivoluzione del 1905 e quella del 1917, la seconda guerra
mondiale e la guerra civile del 1919-1921, con una particolare menzione
per le vittime della insurrezione di Kronstadt del 1921.
Nessuno
chiede perdono alle vittime del passato, ma nessuna vittima è
dimenticata. Forse è questo il modo migliore per scrivere la storia di
una città che ha avuto molti passati.