Corriere 4.6.16
L’affluenza e l’allarme dei sondaggisti
Previsioni univoche di calo. Ma Piepoli: va chi vuole, non c’è bisogno di spaventarsi
di Alessandro Trocino
ROMA
Un dato è (quasi) certo: l’affluenza calerà. Su tutto il resto — causa e
misure dell’astensionismo, effetti potenziali sugli schieramenti e
rimedi — i sondaggisti sono divisi.
Nicola Piepoli ha uno storico
importante: «Votai la prima volta nel ’46. Avevo 11 anni ed entrai in
cabina: scelsi la monarchia». Nessun pentimento: «Le monarchie sono i
Paesi più democratici d’Europa». Allora votò il 93 per cento degli
italiani: «Ricordo le file lunghissime, a Novara». Poi, lentamente, il
crollo: con i primi scricchiolii nel 1979 (dal 93,4 per cento al 90,6)
all’allarme conclamato del 2013 (alle Politiche votò il 75,2 per cento).
C’è da spaventarsi? «Ma no — dice Piepoli —. In Gran Bretagna e negli
Usa i votanti sono intorno al 50 per cento e mi sembra che siano Paesi
piuttosto democratici. Vota chi vuole. A meno che non preferiate la
democrazia di Putin».
Roberto Weber (Ixe) è meno ottimista: «Il
calo è molto allarmante. C’è scontento, insofferenza. Si rischia di
scendere sotto il 50 per cento: i sondaggi sottostimano le astensioni,
perché chi non è interessato al voto tende a non partecipare». Un calo
progressivo, ma anche specifico: «L’offerta politica si è impoverita. E
poi, guardate a Milano: Sala e Parisi sono candidati sostanzialmente
sovrapponibili».
Si vota in una domenica di giugno, mese propizio
al mare: per di più dopo un ponte e in un solo giorno. Fattori che
contano? «Non tanto — sostiene Weber — quando c’è la motivazione, il
resto incide poco». Carlo Buttaroni (Tecnè) concorda: «La campagna è
stata fiacca e i candidati non sono di livello: basti pensare a quanto
fu coinvolgente la sfida Fini-Rutelli a Roma». Chi favorirà la bassa
affluenza? «A Roma la Raggi, che ha un elettorato più motivato, in una
città che non si svuota mai per il ponte. A Milano, invece, Sala».
Pietro
Vento, di Demopolis, pronostica un «forte» astensionismo: «Soprattutto a
Roma e Napoli». La causa? «Le scarse risorse dei sindaci e la
percezione che cambi poco nel votare uno o l’altro candidato». E se
l’affluenza fosse scarsa, Renzi dovrebbe preoccuparsi per il quorum del
referendum? «Direi di no — risponde Vento — sono contesti troppo
diversi». Concorda con lui Buttaroni.
Quanto alla politicizzazione
e al grado di renzismo o meno del voto, Vento rivela: «Il 57% degli
elettori romani effettuerà la scelta pensando al candidato e non al
partito: soltanto il 18% voterà in base all’appartenenza».