venerdì 3 giugno 2016

Corriere 3.6.16
Attuale anche negli Usa l’idea del salario minimo
di Massimo Gaggi

Troppe diseguaglianze di reddito tra l’America ricca delle professioni innovative e i lavoratori impoveriti dei settori divenuti vulnerabili e poco remunerativi a causa di automazione e globalizzazione. Rabbia, democrazia in pericolo. Che fare? I politici impegnati nella campagna presidenziale danno risposte demagogiche, disancorate dalla realtà: a destra Trump è per lo stop agli immigrati in un Paese fondato sull’immigrazione e non certo sotto stress come l’Europa inondata di profughi dall’Africa e dal Medio Oriente. Poi c’è il no unanime di tutti i candidati al «free trade» col nuovo trattato commerciale Usa-Paesi del Pacifico, fortemente voluto dalla Casa Bianca. Serve qualcosa di più organico e gli esperti hanno cominciato a parlare - prima timidamente temendo di passare da neostatalisti, poi in modo sempre più convinto - di una sorta di salario minimo garantito, ribattezzato Ubi: «unconditional basic income». Se ne parla anche in Europa per via del referendum svizzero di domenica prossima: la proposta di salario minimo sarà quasi certamente bocciata, ma già il fatto che si discuta apertamente (e si voti) su un argomento fino a ieri tabù, dà l’idea dei rapidi cambiamenti in atto. Certo, c’è da chiedersi come farebbe Bill Clinton, l’«uomo dell’economia» nella Casa Bianca di Hillary secondo i piani della ex first lady , a rimangiarsi la sua riforma del «welfare» di 20 anni fa che legò il sostegno agli indigenti alla ricerca del lavoro. Ma poi tornano alla memoria gli anni Settanta quando un presidente repubblicano come Nixon andò molto vicino al varo di un piano universale di assistenza ai poveri. Ostacoli e controindicazioni sono enormi: oltre agli alti costi (più tasse e debiti) e al rischio di disincentivare la ricerca di un impiego, ci sono anche quello di alimentare frustrazioni (oltre al reddito, il lavoro garantisce un ruolo nella società) e, perfino, quello di un «welfare» concesso selettivamente, in modo più o meno consapevole, su base razziale. Negli Usa gli studiosi notano che gli Stati già oggi più generosi con i poveri, Oregon e Vermont, sono non solo progressisti, ma anche massimamente bianchi e bianchi sono la grande maggioranza dei percettori di sussidi. Mentre il sostegno è minimo in Stati come Louisiana e Arkansas dove l’indigenza colpisce soprattutto neri e ispanici. Tutto molto controverso, ma l’inazione può essere ancor più pericolosa.